
La paura, l’angoscia, l’instabilità, la solitudine, il panico che fa calare precipitosamente l’ossigeno... Raramente un film è riuscito a trasmettere, anche da un punto di vista fisico, queste sensazioni.
Un’odissea nello spazio per due sole persone, e intorno l’immensità senza punti d’appoggio, un universo nemico denso di pericoli. Lo Spazio è la nuova frontiera, il nuovo deserto in cui si consuma l’avventura dei due esploratori, tanto meraviglioso quanto spaventosamente sconosciuto, ancora più terribile perché non ha confini, è il vuoto. Vuoto che è anche nel fondo delle anime, quando manca la voglia di vivere e di combattere.
Giocato su due personaggi, un astronauta alla vigilia della pensione, esperto e scanzonato, e una dottoressa alla sua prima missione su uno shuttle, coi suoi dolori nascosti, mandati alla deriva nello Spazio da una tempesta di detriti che ha distrutto la navicella e tutto l’equipaggio, il film stupisce visivamente e al contempo accompagna l’avventura al viaggio interiore. Stupefacente per tecnica ed effetti speciali, a livelli altissimi, e per l’avvolgente clima di squilibrio che rende tangibili il buio, il silenzio, la mancanza d’aria, la consapevolezza di essere soli nell’ignoto e nell’infinito, Gravity è, sotto questo profilo, un film straordinario.
Più scontato il proposito di tradurre l’emozione in dialoghi che rispondono ai canoni hollywoodiani. Cuaròn, autore di angosce già dal suo primo film (e il suo Harry Potter resta il più bello e dark di tutta la saga), ubbidisce alle aspettative e lascia parlare l’angoscia vera attraverso palpabili emozioni visive. Dopo il primo incontro con la fantascienza in “I figli degli uomini” esplora qui una fantascienza diversa, che non guarda a una visione sociale ma ai viaggi nello spazio e che ancora si rifà alla grande fantascienza del passato, ma con una tecnica e un coraggio che segnano un nuovo baluardo nel genere cinematografico, oltre il quale non è più possibile fare ritorno.
Da vedere rigorosamente in 3D
Voto: 7,5
Gabriella Aguzzi