Un ragazzo d'oro

19/09/2014

di Pupi Avati
con: Riccardo Scamarcio, Sharon Stone, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli

Premetto che amo il cinema di Pupi Avati, uno degli ultimi veri artigiani e Maestri del nostro cinema, e sostengo che molti suoi film sono dei veri capolavori da  studiare nelle scuole di cinema e non solo; il mio cuore accelera sempre vedendo Ultimo Minuto, un film che parla di calcio come grande metafora della vita nel bene e nel male con tocchi di autentica poesia filmica, uno degli ultimi film interpretato dal grande Ugo Tognazzi...ma  questo nuovo film del regista bolognese non l'ho proprio né capito né digerito..
Non nel senso che non ho capito la trama del film che è chiarissima, ma, e lo dico con dispiacere, nel senso che è non credibile.
Si narra un certo Davide Bias, interpretato da un convincente Riccardo Scamarcio, un creativo pubblicitario in crisi depressiva che ingurgita continuamente pillole,  sognando di scrivere qualcosa di bello e soprattutto vero. 
Neppure  la fidanzata Silvia, una soave ed angelica Cristiana Capotondi, riesce a smuoverlo dalle sue insicurezze.
Quando il padre, uno sceneggiatore di film di serie B, con il quale Davide ha sempre avuto un pessimo rapporto, improvvisamente muore, probabilmente  suicida, da Milano il giovane si trasferisce a Roma dove incontra la bellissima Ludovica, interpretata da una spaesata ed ahimè appassita Sharon Stone, che in ogni inquadratura dà la sensazione che non capisca in quale film si trovi. Ludovica è un’editrice interessata a pubblicare un libro autobiografico che il papà di Davide aveva intenzione di scrivere...Non vado oltre nel raccontare la trama del film per chi volesse vederlo.
Il problema principale di questo film è che non riesce a smuovere l'animo dello spettatore, in pratica vorrebbe commuovere ma purtroppo  riesce solo ad annoiare...
Avrei una domanda per il pur ottimo regista bolognese: C'era  bisogno di questo film nella sua importante filmografia?

 

Voto: 6

Ettore Calvello

Ho aspettato un po' a scrivere di questa pellicola, perché ho voluto che “decantasse” prima di esprimere un giudizio affrettato. Il nucleo emotivo del film infatti è molto forte – un figlio che “perdona” il proprio padre solo finendo con l'identificarcisi, a costo di perdersi come persona – ma l'escamotage narrativo per raccontare questa storia è, più che debole, incredibile. E sembra assurdo che un regista come Avati, così attento, nei film d'ambiente realistico, alla credibilità dei personaggi, dei dialoghi, delle situazioni abbia fatto un simile scivolone.
Ma dopo qualche giorno mi è venuta in mente una soluzione più buona rispetto a un lapidario ed istintivo “ha sbagliato film”, e forse è la soluzione non solo “buonista” ma corretta: nonostante l'ambientazione odierna, “Un ragazzo d'oro” non è un film realistico, ma è da ascriversi al filone horror-fantastico del cinema di Avati. L'escamotage narrativo di cui si diceva prima è, appunto, solo un escamotage per far scattare la molla di un racconto ben più profondo, forse parzialmente autobiografico, sicuramente spaventoso, una complessa storia di amore-odio e, tra le righe, di vampirismo. Dimentichiamoci l'omaggio-denuncia al cinema di serie B, la crisi creativa dell'autore (“lei scrive dei buoni racconti, ma nessuno in Italia pubblica racconti, li sviluppi in un romanzo...”), le storie d'amore e gelosia, il manoscritto scomparso: pensiamolo ambientato in un settecento rurale e magico e la figura, sempre assente e dominante, del padre assumerà facilmente contorni stregoneschi e la pazzia del figlio, più che un esaurimento nervoso, ci apparirà come un vero fenomeno di possessione. Avati non ha sbagliato la forma del racconto, ma ha voluto trasportare nel comune odierno una storia gotica: se un errore ha commesso è stato quello di non calibrare bene i toni e di non rendere chiara l'operazione. Così anche l'errore più marchiano, quella scelta di Sharon Stone a beneficio della distribuzione internazionale, col doppiaggio fuori sincrono come tutta la sua interpretazione, risulta giustificato se vogliamo raffigurarcela come una bellissima strega (quindi deve avere fattezze estranee alle nostre, un'attrice italiana d'aspetto comune e accento televisivo-romanesco non avrebbe nulla di magico).
Se la mia interpretazione è corretta, possiamo dare al film un buon 7; se invece siamo troppo fantasiosi non si va oltre a un tirato 6, mettendo sulla bilancia del positivo la performance di Riccardo Scamarcio, convincente sia in chiave realistica che in chiave fantastica: a voi la scelta.

L'Incontro con il Regista

Voto: 6,5

Elena Aguzzi