Una cosa che un critico non ammetterà mai, forse per paura di non sembrare all'altezza, è di essersi domandato, terminata la proiezione, “e questo cosa mi significa?”. Eppure, per quanto “bello” un film può essere, affascinante nell'ambientazione, ben interpretato, interessante nei temi messi in tavola, ci si chiede cosa può spingere un regista a mettere in scena 196 minuti di discussione sulla bontà, la coscienza, lo scopo dell'esistenza, la possibilità di perdono e quella di redenzione; e cosa può spingere uno spettatore ad ascoltare. Un libro, al limite uno spettacolo teatrale, possono affrontare questi argomenti, ma al cinema si può fare? Mi correggo: li si possono benissimo rappresentare purché li si esprimano attraverso immagini ed azioni (e alcuni punti toccanti del film, come le sequenze attorno al cavallo, lo dimostrano), ma lasciare gli assunti alle semplici parole è fare teatro filmato, non, appunto, cinema. Anche non volendo ridurre l'arte cinematografica alla definizione fulleriana “ il cinema è come una battaglia: amore, odio, azione, violenza, in una parola emozione”, possono le pur splendide immagini della Cappadocia innevata giustificare un film? Non c'è un po' di spocchiosità dietro questa Palma d'Oro? Ceylan in pellicole come Uzak e C'era una volta in Anatolia ci aveva sempre fornito materia su cui meditare, ma con un nucleo narrativo forte: qui invece non succede nulla, se non nell'animo del protagonista.
Sicuramente un pregio di questa storia così intimista è che le tre ore e più della durata passano senza farsi sentire, segno che la scrittura è perfetta. Spesso si partecipa, si ride persino, ci si dà risposte; o si possono ritrovare i riferimenti letterari (Checov) e cinematografici (Bergman), ma si tratta di curiosità puramente intellettuale, che non smuove nulla, non commuove: forse proprio l'eccessiva precisione psicologica finisce col rendere i personaggi troppo poco universali per potercisi identificare. Quindi non si tratta solo di mancanza di trama, di azione, ma proprio di emozione. E senza quella non c'è vero cinema.
Voto: 6,5
Elena Aguzzi