The Imitation game

10/01/2015

di Morten Tyldum
con: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Charles Dance, Mark Strong, Matthew Goode, Rory Kinnear

Attenzione al titolo: non è solo quello del libro scritto dal protagonista, Alan Turing, ma è una dichiarazione d'intenti. All'apparenza, infatti, il film si presenta come un solido e appassionante biopic sul professor Turing, genio matematico semiautistico, pioniere dell'informatica, che con un gruppetto eterogeneo di giovani enigmisti, linguisti, scacchisti e agenti segreti è riuscito a decrittare il codice Enigma, usato dai nazisti per le azioni di guerra: il film sostiene che grazie alla decifrazione del codice la guerra durò due anni e mezzo di meno e si ebbe la vittoria degli alleati.
Ma fate attenzione, perché la formula del racconto è quella quasi del thriller: la prima imitazione è quella di una spy-story. Iniziamo infatti in media res, durante un interrogatorio,con una frase che fa molto Nolan o I soliti sospetti. “Sta facendo bene attenzione? Perché tutto ciò che sto per dire non lo ripeterò, non potrà farmi domande e se decide di ascoltare la sua vita potrebbe cambiare”. Ed eccoci proiettati nel ruolo dell'investigatore,a ricostruire la vicenda lungo un susseguirsi di diversi piani temporali, dove l'interrogatorio stesso entra in flash back e riparte.
Conoscendo il personaggio ci troviamo a un ulteriore livello: seconda imitazione, il film sul genio malato. Asociale, segnato dall'omosessualità (che scopriremo essere il motivo dell'interrogatorio), pieno di fobie (“le carote sono arancioni, non possono venire a contatto coi piselli che sono verdi”), straziato da un amore luttuoso, ci ricorda un po' l'eroe di “A beautiful mind”, e finiamo per parteggiare con lui anche se nella vita, probabilmente, terremmo anche noi le distanze da un tipo così scostante e arrogante (“Lei si crede Dio” “No, Dio non ha salvato tutte quelle vite, io sì”).
Terza imitazione, la forma. Non solo grazie al cast e all'ambientazione, così accuratamente ricostruita e illuminata,  ma anche allo stile, leggero e corretto, si ha tutta l'impressione di trovarsi di fronte a un film inglese, col giusto equilibrio tra pathos, suspense e humor. Eppure il film, pur di produzione britannica, è diretto da un regista norvegese e ha diversi collaboratori continentali, che giocano ad imitare l'inimitabile british style.
Tutto qui? Solo un gioco di imitazione? No, il film ha qualcosa in più. E, ancora una volta, risiede nel suo personaggio. Una persona fragile, distrutta dal segreto e dalle decisioni vitali che ha dovuto sopportare, oltre che da una sessualità che lo ha portato al processo, alla morte e alla damnatio memoriae? O un freddo calcolatore, un egocentrico senza pietà, in definitiva solo una macchina pensante? Il cuore del film sta in quella domanda: le macchine possono pensare? Turing ha dato alla sua “creatura” un nome, Christopher, quello del ragazzo amato da fanciullo: col nome gli ha forse dato un'anima? Certo, sembra aver dato più amore alla sua creazione, finendo col sacrificarsi per essa, che agli altri esseri umani, solo pedine sulla scacchiera. O si è solo difeso per non finire annientato anzitempo (cioè prima di completare la sua opera)? Il film ci lascia questi interrogativi in sospeso, abbiamo ascoltato la sua testimonianza per quasi due ore, ma alla fine, anche se abbiamo fatto attenzione, restiamo senza una sicura risposta.
Benedict Cumberbatch, nella sua interpretazione emotivamente coinvolta e coinvolgente, sembra suggerircene una. E si candida prepotentemente a soffiare oscar e globi d'oro agli americani. In fondo, il merito della vittoria nella seconda guerra mondiale è degli inglesi, no?

Voto: 7,5

Elena Aguzzi