Big Eyes

12/01/2015

di Tim Burton
con: Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman

Tim Burton torna sugli schermi e attira gli occhi del pubblico con altri ma più grandi e profondi occhi, quelli di Big Eyes. Questo il titolo del film biografico sulla pittrice Mary Ulbrich, ex Keane, diventata famosa sia per i suoi quadri dallo stile quasi gotico di bambini dagli occhi enormi sia per essere stata la co-protagonista di una delle più grandi truffe dell'arte contemporanea. Un gioco di cognomi, di identità e anche di pennelli quello raccontato da Tim Burton che, questa volta, si nasconde dietro la cinepresa lasciando protagoniste la storia e l'arte.

Anni '50. Margaret Ulbrich si separa e con figlioletta cerca di costruirsi un'autonomia e una carriera da pittrice, senza però tanto successo. Un pomeriggio, incontra l'affascinante e affabulatore Walter Keane, venditore di immobili nel DNA e pittore nei weekend. La donna cede alle sue avances e al suo amore, soprattutto per comodo e tranquillità e lascia che il neo marito prenda la guida della sua vita e della sua pittura. Walter Keane, dietro la giustificazione che l'arte firmata donna non viene presa sul serio, reclama la paternità del cognome scritto sulle tele (avevamo già detto che gli anni '50 erano anni dettati dal maschilismo?). Grazie alle sue doti di venditore, i quadri attirano l'attenzione del pubblico e vengono incoronati dalla massa finché la vera pittrice, ormai rinchiusa in uno sgabuzzino tra pennelli e colore, dopo aver perso se stessa tra sensi di colpa, segreti e perdita d'identità, inizia un cammino verso la sua affermazione.

Tim Burton firma questo film come Walter Keane “firmava i suoi quadri” e infatti la domanda esistenziale e identitaria che accompagna il pubblico fuori dalla sala è: Tim Burton, dove sei? Una chiamata quasi spirituale e necessaria per chi non si è accontentato degli zuccherini dati come la scelta dei colori, le poche sequenze (due) in cui Tim incide il film con il suo stile trasognato e gotico, e l'ironia che arreda le scene finali con l'istrionico Christoph Waltz (nuova musa dopo Johnny Depp?).
Aldilà dello stile comunque, i contenuti sono tanti e portano a un'interessante riflessione sull'arte: quanto l'arte è talento e quanto solo marketing? Senza il marito markettaro, Margaret avrebbe comunque fatto lo stesso successo e cosa sta alla base della definizione di arte: la massa o i critici? Rafforzata dalla citazione di Andy Warhol usata per aprire il film, la convinzione che l'intento di Burton non era quello di fare un'opera d'arte con la sua firma, ma dare spazio all'arte in sè si rafforza. E gli argomenti caldi e soprattutto attuali sono molti: il bisogno di esprimere se stessi, l'artista di fronte al successo e alle regole del mercato e l'arte che dà emozione e che piace  nonostante ciò che i critici, le gallerie e la moda dettano. Cinema, compreso. 

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Voto: 7,5

Roberta Costantini