
Secondo film in costume per Mike Leigh (il primo è Topsy-Turvy), che con Mr. Turner (Timothy Spall, che per Leigh ha recitato già in Segreti e bugie, Topsy- Turvy, Tutto o niente) si approccia a raccontare la vita del pittore romantico vissuto a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo (1775-1851), o meglio l’ultimo quarto di secolo della sua vita, caratterizzata da frequenti viaggi per i mari dell’Inghilterra e del Nord Europa, dai suoi quadri amati e criticati allo stesso tempo, spesso non compresi, nè dal pubblico nè dai Reali, dai suoi rapporti all’interno della Royal Academy of Arts, ma soprattutto da un evento scatenante che cambierà la sua vita: la morte del padre, a cui era profondamente legato.
Salta subito all’occhio la contraddizione tra l’atteggiamento scorbutico dell’artista, rozzo, spesso goffo, capace solo di grugniti e espressioni arcigne, e il suo innato talento nel cogliere l’arte nella natura: la precisione nella rappresentazione della luce, la volontà spasmodica di trovare la realtà, di catturare la verità, al punto di farsi legare all’albero maestro di una nave per cogliere una bufera di neve, per far entrare la bufera di neve dentro di lui, direi (la sua esperienza diventerà Storm – Steam-boat off a Harbour’s Mouth). Ed ecco che emerge come l’unica cosa che conti per Mr. Turner sia l’arte, la sua arte istintiva, senza significati reconditi e ipocritamente necessari, l’arte che non costa, l’arte che lui avrebbe voluto vedere, con una lungimiranza quasi visionaria, “tutta insieme, in un solo luogo, gratis”. Una lungimiranza che gli fa vedere come il progresso, il cambiamento dei tempi, metterà in pericolo la sua stessa arte: la nave a vapore che prende per raggiungere i luoghi della sua ispirazione verrà sostituita dal treno, e il minaccioso dagherrotipo presto sostituirà la pittura, cogliendo la luce meglio di qualsiasi artista.
Ma al di là della sua arte, c’è poco e nulla: nega l’esistenza di due figlie illegittime avute dall’ex amante Sarah Danby; amato dalla sua governante, Hannah, (“la mia damigella”, interpretata da Dorothy Atkinson), non la ricambia e la usa per soddisfare i suoi nevrotici appetiti sessuali, senza mai mostrare per lei alcun vero interesse o riguardo; conduce una doppia vita, convivendo in incognito con la signora Booth (Marion Bailey) a Chelsea, dove morirà.
Il tratteggio del protagonista nella pellicola di Mike Leigh è impeccabile, ogni dettaglio è perfettamente riuscito, dall’aggressività all’altruismo, dalla sua anarchia alla sua vulnerabilità. E naturalmente impeccabile la performance di Timothy Spall.
Dispiace solo che i personaggi intorno a lui siano effettivamente solo d’appoggio: al di là delle “macchiette” di John Constable, John Ruskin, la Regina Vittoria e Principe Alberto, minimamente tratteggiate (e forse minimamente è il giusto), sarebbe piaciuto veder più fortemente delineati i personaggi delle “donne del focolare”, ancor più quella di Hanna, che incuriosisce parecchio.
Da sottolineare la fotografia paesaggistica (Dick Pope è il direttore della fotografia), imponente, estremamente fedele alle “originali” opere d’arte, e che con grande realismo ha come obiettivo, come Turner, rappresentare la luce, seguire il sole, perché “il sole è Dio”, dirà il pittore.
Voto: 7,5
Lavinia Torti