Cloverfield

03/05/2008

di Matt Reeves
con: Michael Stahl-David,Lizzy Caplan.,Jessica Lucas

L’attacco improvviso di un mostro gigantesco visto in prima persona. Questa la carta vincente di “Cloverfiield”: affrontare il genere catastrofico da una visione in soggettiva. Tutto con la videocamera a mano, il film appare così come il documento di una serata catapultata improvvisamente nell’orrore dell’irreale, della durata della videocassetta inserita, e si cala all’interno delle paure dei protagonisti facendo scattare l’immedesimazione. Noi sappiamo quello che loro sanno: chi sia il mostro, da dove venga, perché, non ci è dato modo di saperlo. Siamo a una festa, stiamo vivendo piccole tensioni e contrasti, all’improvviso sembra esserci un terremoto, la testa della Statua della Libertà piomba gigantesca in mezzo alla strada, crollano i palazzi, si mormora di una mostruosa creatura, alla televisione appare qualcosa di orrendo, poi quella “Cosa” incombe anche su di noi. Intanto la videocamera continua a riprendere, prima con spaventata curiosità, poi con confusione e smarrimento, infine con sempre crescente angoscia e frenetico terrore.
Viene subito alla mente l’operazione di “Blair Witch Project”, ma dove lì regnava l’angoscia inespressa dei boschi e il mistero invisibile, qui il connubio tra il genere catastrofico alla “Godzilla” con effetti speciali e lo stile apparentemente povero con l’uso dell’handycam è strabiliante, in un continuo oscillare tra il terrore di una catastrofe che distrugge il mondo e le paure individuali del sempre più esiguo gruppo di protagonisti dalla cui angolazione si osserva la tragedia. Condito di tocchi di puro horror, il film ha dei momenti da attacco cardiaco e potenti invenzioni visive ed è giostrato su una tensione che aumenta al passo con la disperazione, sferrando attacchi a sorpresa e lasciando il segreto della paura nell’irrazionale e nell’ignoto.

Voto: 7,5

Gabriella Aguzzi

La premessa è semplice: in un'America ancora sconvolta dalla tragedia dell'11 settembre, un gruppo di ragazzi si trova a dover fronteggiare una minaccia ancor più drammatica. La prima reazione, se possibile, è ancora più semplice: ed è quella, facile e superficiale, di ascrivere Cloverfield al filone, così retrò eppure così modaiolo, dei "monster movies", riveduto e corretto da anni di catastrofi natural-cinematografiche, invasioni aliene - vuoi hypertech (La guerra dei mondi), vuoi esistenzialiste (Signs) - e boschi abitati da inquietanti presenze. Sì, perché è implicito il rimando, almeno nella memoria visiva dello spettatore, a quella Strega di Blair che fu, ai suoi tempi, spacciato come "il film più terrorizzante dopo L'Esorcista".
Ed è nella profonda esperienza che separa i due film, The Blair Witch Project e Cloverfield, che la pellicola di Matt Reeves (anche se è forte la tentazione di attribuirne la paternità, in pure stile Vecchia Hollywood, al suo produttore, J.J. Abrams) svicola dal semplice film di genere, diventando un'opera cinematografica di spessore e levatura insperati. E questa differenza è lo straziante senso di realismo: quando The Blair Witch Project tentava, fallendo, di impressionare lo spettatore con un'impressione di realtà, arrivava tutt'al più a scimmiottare l'estetica da Real TV, mancando persino un discorso metacinematografico quasi scontato. In Cloverfield, invece, e soprattutto grazie a meriti di sceneggiatura, il realismo è una componente fondamentale della narrazione filmica: la trama fantascientifica si trasfigura, inizialmente, in una metafora suggerita (nemmeno troppo sottilmente) degli attentati terroristici alle Torri Gemelle. E non si fa fatica a dire che sia la parte meno interessante dell'opera.

Quando, però, il film entra nella sua parte centrale, la telecamera a mano impugnata da uno dei personaggi (non uno dei protagonisti, attenzione: il film è molto attento nello sfuggire ai clichés dei "survival horror") cessa di essere vezzo stilistico e diventa tema, significato: abituati ad un occhio cinematografico che spiega, analizza e sovra-costruisce, rimaniamo spiazzati da una telecamera traballente, che si spegne spesso, che causa continue ellissi, vuoti narrativi che solo uno spettatore attento può colmare. Il realismo assoluto di una situazione grottesca e fantastica sta in questi momenti di buio, di non-detto, in questa mancanza di spiegazioni e di centro: non ci sono certezze rassicuranti, alla fine di Cloverfield, solo un messaggio disperato (obbligatorio rimanere fino alla fine dei titoli di coda), e brandelli di informazioni con cui fare i conti, su cui ragionare per trovare una via d'uscita.

Come il suo titolo, come i molti riferimenti abbozzati, Cloverfield è un film misterioso: non si fa afferrare saldamente, ma agisce - grazie anche alla grandiosità visiva e alla maestria tecnica (plauso speciale al comparto sonoro) - come un delicato meccanismo ad incastro. Come nella realtà, si ha l'impressione che tutti i pezzi del puzzle siano lì, di fronte a noi, ma non si riesce comunque a sciogliere la matassa. Qui sta la grandezza di un film che si va a vedere per la curiosità del "mostro" (curiosità che non rimane delusa), ma che si fa ricordare come una delle opere più disturbanti e destabilizzanti degli ultimi anni.

Voto: 8

Andrea Morstabilini