Colpo d'occhio

03/05/2008

di Sergio Rubini
con: Riccardo Scamarcio, Sergio Rubini, Vittoria Puccini

Dai lontani tempi di “Ossessione” di Luchino Visconti, il cinema italiano ha sempre avuto una certa propensione per il “noir”, ma, chissà perché, fatte poche eccezioni, sembra quasi che gli autori se ne vergognino, camuffando i propri film da commedie o da thriller e stando attenti a nascondere le nobili ispirazioni letterarie. Tra le eccezioni va annoverato Sergio Rubini, capace tanto di trasformare atmosfere dostoevskiane in film di genere, quanto di condurre da vent'anni, di pari passo, una brillante carriera di interprete di spessore e di autore molto personale.
Il felice caso si ripete col suo ultimo film, “Colpo d'occhio”, col quale si immerge nel noir- il tema della passione vertiginosa, del doppio, dell'inganno, con l'incombere del delitto - scardinandone però alcuni stereotipi – le luci chiare e gli ambienti raffinati al posto delle atmosfere cupe, per esempio.
Protagonisti della vicenda sono Adrian Scala (Riccardo Scamarcio), giovane scultore ambizioso e impaziente di successo; Gloria (Vittoria Puccini), la sua compagna; e il Lulli (Sergio Rubini), critico d'arte molto potente, ex amante di Gloria, che decide di guidare la carriera di Adrian con scopi che solo al ragazzo non sono chiari, in quanto Adrian preferisce chiudere gli occhi, avviandosi verso il baratro, pur di soddisfare la propria passione per l'arte, una passione che necessita di continui consensi e che può essere più forte di quella amorosa.
Confesso che mi è difficile commentare adeguatamente il film senza approfondire l'analisi dei personaggi, ma così facendo sarebbe inevitabile raccontare troppo della trama, svelando i vari colpi di scena. Perché se non si tratta di un classico giallo all'inglese, si tratta comunque di un intrigo psicologico ben architettato, di cui il Lulli è dichiaratamente, fin dalla prima sequenza, il burattinaio e regista, in un gioco di specchi col proprio interprete. Ma fino a che punto è luciferino? In che misura è vittima e in che misura è carnefice? Questo lo lasciamo scoprire allo spettatore.

Al di là della trama e dei personaggi, con tutti i rimandi consapevoli e inconsapevoli ad opere letterarie e teatrali, che spaziano dal citato Dostoevskij fino allo Shaffer di Sleuth passando per Patricia Highsmith, il film è anche interessante per l'analisi crudele del mondo dell'arte e per la sua veridica rappresentazione: forse grazie alla forma d'arte prescelta, la scultura (che è tridimensionale, e rende meglio sullo schermo della pittura), Rubini e Scamarcio riescono a trasmettere il momento (e la difficoltà) della creazione dell'opera, cosa assai rara al cinema.

Bene anche gli interpreti. La Puccini è bella in modo etereo, da suggerire innocenza e fragilità, ma ha anche quel tanto di eccessivamente raffinato, quasi snobistico, che impedisce di crederle fino in fondo, giustificando così l'altalena sentimentale di Adrian; il Lulli di Rubini è viscido e arrogante, ma con un che di seduttivo e un accenno di nevrosi; il più complesso infine è l'Adrian di Riccardo Scamarcio, che ha la sfrontataggine di chi sa di essere bello e di talento, e la rabbia e l'ansia di chi teme di non esserlo abbastanza e ha paura di perdere tutto ciò che ha acquisito, alternando prepotenza, ribellione sentimentale, servilismo, fiducia in sé e subito dopo insicurezza, ambizione e senso di colpa: una prova grazie alla quale riesce a confermarsi come interprete versatile e non solo carino, e ipoteca un futuro da star del noir e non più, grazie al cielo e a Rubini, da idolo delle tennager.

Voto: 7,5

Elena Aguzzi