Dai lontani tempi di “Ossessione” di Luchino Visconti, il cinema italiano ha
sempre avuto una certa propensione per il “noir”, ma, chissà perché, fatte poche
eccezioni, sembra quasi che gli autori se ne vergognino, camuffando i propri
film da commedie o da thriller e stando attenti a nascondere le nobili
ispirazioni letterarie. Tra le eccezioni va annoverato Sergio Rubini, capace
tanto di trasformare atmosfere dostoevskiane in film di genere, quanto di
condurre da vent'anni, di pari passo, una brillante carriera di interprete di
spessore e di autore molto personale.
Il felice caso si ripete col suo ultimo
film, “Colpo d'occhio”, col quale si immerge nel noir- il tema della passione
vertiginosa, del doppio, dell'inganno, con l'incombere del delitto -
scardinandone però alcuni stereotipi – le luci chiare e gli ambienti raffinati
al posto delle atmosfere cupe, per esempio.
Protagonisti della vicenda sono
Adrian Scala (Riccardo Scamarcio), giovane scultore ambizioso e impaziente di
successo; Gloria (Vittoria Puccini), la sua compagna; e il Lulli (Sergio
Rubini), critico d'arte molto potente, ex amante di Gloria, che decide di
guidare la carriera di Adrian con scopi che solo al ragazzo non sono chiari, in
quanto Adrian preferisce chiudere gli occhi, avviandosi verso il baratro, pur di
soddisfare la propria passione per l'arte, una passione che necessita di
continui consensi e che può essere più forte di quella amorosa.
Confesso che
mi è difficile commentare adeguatamente il film senza approfondire l'analisi dei
personaggi, ma così facendo sarebbe inevitabile raccontare troppo della trama,
svelando i vari colpi di scena. Perché se non si tratta di un classico giallo
all'inglese, si tratta comunque di un intrigo psicologico ben architettato, di
cui il Lulli è dichiaratamente, fin dalla prima sequenza, il burattinaio e
regista, in un gioco di specchi col proprio interprete. Ma fino a che punto è
luciferino? In che misura è vittima e in che misura è carnefice? Questo lo
lasciamo scoprire allo spettatore.
Al di là della trama e dei personaggi, con
tutti i rimandi consapevoli e inconsapevoli ad opere letterarie e teatrali, che
spaziano dal citato Dostoevskij fino allo Shaffer di Sleuth passando per
Patricia Highsmith, il film è anche interessante per l'analisi crudele del mondo
dell'arte e per la sua veridica rappresentazione: forse grazie alla forma d'arte
prescelta, la scultura (che è tridimensionale, e rende meglio sullo schermo
della pittura), Rubini e Scamarcio riescono a trasmettere il momento (e la
difficoltà) della creazione dell'opera, cosa assai rara al cinema.
Bene anche
gli interpreti. La Puccini è bella in modo etereo, da suggerire innocenza e
fragilità, ma ha anche quel tanto di eccessivamente raffinato, quasi snobistico,
che impedisce di crederle fino in fondo, giustificando così l'altalena
sentimentale di Adrian; il Lulli di Rubini è viscido e arrogante, ma con un che
di seduttivo e un accenno di nevrosi; il più complesso infine è l'Adrian di
Riccardo Scamarcio, che ha la sfrontataggine di chi sa di essere bello e di
talento, e la rabbia e l'ansia di chi teme di non esserlo abbastanza e ha paura
di perdere tutto ciò che ha acquisito, alternando prepotenza, ribellione
sentimentale, servilismo, fiducia in sé e subito dopo insicurezza, ambizione e
senso di colpa: una prova grazie alla quale riesce a confermarsi come interprete
versatile e non solo carino, e ipoteca un futuro da star del noir e non più,
grazie al cielo e a Rubini, da idolo delle tennager.
Voto: 7,5
Elena Aguzzi