Moonlight

27/02/2017

di Barry Jenkins
con: Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes, Mahershala Ali, Naomie Harris

Non era una sorpresa l’annuncio della vittoria di La La Land. Lo è stato, invece, oltre all’imbarazzante coup de théatre, l’annuncio del vero vincitore: Moonlight. I riconoscimenti della Critica e dei Golden Globe potevano lasciar prevedere i tre Oscar, tra cui quello per Miglior Film, e la tematica protagonista - l’educazione sentimentale di un ragazzo afroamericano in mezzo alla criminalità e alla violenza di Miami – rispondeva ai nuovi venti dell’Academy abbinando in modo assai riuscito il ritratto sociale a quello più intimista. A sorprendere dunque per il suo trionfo nella notte delle stelle è lo stile originale e poco lineare con cui ciò viene raccontato. Lo stile narrativo del film, e il faticoso impegno di non tradirne la matrice teatrale inventando continui guizzi di regia, sono infatti la sua forza ma anche la sua debolezza.
Moonlight racconta tre momenti della vita dello suo protagonista, chiamato con tre diversi nomi che sono anche i titoli dei tre capitoli, secondo la fase che sta attraversando e il suo modo di affrontare l’ambiente che lo circonda, quasi fossero tre diverse persone. Little è il bambino smarrito a cui lo spacciatore Juan (Mahershala Ali, insignito dell’Oscar quale Miglior Attore Non Protagonista) fa da maestro di vita, figlio di una madre drogata e protetto da quella strana e forte figura di padre adottivo, Chiron è il ragazzo carico di violenza in risposta al bullismo di cui è vittima che riconosce la propria omosessualità vivendo il suo primo ed unico contatto sessuale con il suo miglior amico, Black è il giovane che la galera ha insegnato a difendersi, che anche nell’aspetto cerca di assomigliare al mentore della sua infanzia, che ha preso la sua strada e non si guarda indietro finché i ricordi non lo costringono a farlo.
Il film di Barry Jenkins è una storia di inquietudine e solitudine, alla ricerca di un’identità, di un diverso tra i diversi, un emarginato dagli emarginati, dove tutti sono carichi di ombre e ognuno reagisce a suo modo alla violenza in cui è immerso, con la rabbia o con la rassegnazione. Un romanzo di formazione asciutto e freddo che conduce ad una rivalsa che è ancora una desolata solitudine.
Se il finale è immerso in una malinconia sommessa, l’ultima parte è anche molto (troppo) parlata, tradendo l’ origine di pièce teatrale. Nel suo scorrere il film prende direzioni diverse, lo stile è crudo e allo stesso tempo estetizzante, perfino i brani musicali che ne formano la colonna sonora sono i più disparati, da Mozart a Cucurrucucù Paloma. Tanta discontinuità si direbbe dettata dall’incertezza in cui brancola Little/Chiron/Black la cui vita è presentata a frammenti, omettendo le morti, il carcere ed altri passaggi cruciali per mostrarne invece le conseguenze e i mutamenti sulla sua pelle.

Voto: 7

Gabriella Aguzzi