"Oggi sposi": l'uomo e Jacqueline. Lei, una meravigliosa e mansueta vacca (quadrupede!). Lui, Fatah, un meraviglioso e normalissimo contadino algerino che sfida le leggi di natura, percorrendo a piedi 700 km dal suo paesino agreste fino a Parigi, scortato dal fedele animale, per partecipare nientemeno che al Salone dell'Agricoltura. "In viaggio con Jacqueline -Tre uomini e una mucca" è il nuovo, delizioso film di Mohamed Hamidi, con Fatsah Bouyahmed, Lambert Wilson, Jamel Debbouze, che racconta una storia di povera gente in cui la grande bellezza risiede nei volti, nei gesti antichi, nelle atmosfere intense e delicatamente reali di una vita campestre fatta di piccoli gesti quotidiani e solenni, come il fascio di rape appena raccolte da un piccolo orto strappato ai sassi. La prima di tutte è il rispetto. Ovvero, il saper accompagnare i sogni di un membro della comunità, per quanto astrusi essi possano sembrare. E farlo, soprattutto, collegialmente, sotto la guida di capi riconosciuti, quelli che spontaneamente fioriscono e germogliano all'interno di un piccolo clan agreste, dove tutti si conoscono e si prendono in giro con un garbo del tutto sconosciuto in Occidente.
Veder partire qualcuno per quell'Europa tanto invidiata e mitizzata, è un evento imperdibile, la cui cronaca di viaggio arriva fin dentro la piccola aula scolastica del paesello d'origine, dove campeggia accanto alla lavagna una cartina dell'Hexagone (così come viene definita la Francia dai suoi abitanti) e si contano a un ritmo giocoso i giorni di viaggio di Fatah e di Jacqueline. Perché, poi, Odisseo non è solo il protagonista di Omero. Anche un contadino può dare il meglio di sé, in tal senso. Incontrando la sua Circe, ad esempio, in un baraccone di illusionisti che gli spillano l'anima come fosse un vino d'annata, smarrendola nell'alcool di una grappa di pere artigianale proibita dal Corano, ma benedetta dalla natura. Così un uomo fedelissimo viene immortalato nel bacio della Circe creando tempeste magnetiche a migliaia di miglia di distanza, perché la tecnologia è quella Fata Turchina che, come una macchina del tempo, trasporta eventi spazialmente lontani nel vissuto quotidiano, mettendo in tavola sapori proibiti come quello del desiderio verso la donna altrui. Un sentimento che circuita a distanza di sicurezza, però, respinto dall'amore vero e dalla fede in colui che si ama, malgrado contro l'amato tramino le Parche del tradimento apparente.
Forti e potenti sono, poi, i legami multietnici legati alla passione irrefrenabile dell'arabo coniugato al maschile, che venera la pelle e gli occhi chiari incorniciati con l'oro dei capelli delle francesi le quali, a loro volta, esprimono altrettanta passione per quegli uomini bruni della sponda africana del Mediterraneo, che non sanno e non debbono chiedere, coscienti della propria virilità atavica. Fatah-Odisseo, che dorme sul dorso della vacca anziché sulla tolda di una nave, incontra il suo Polifemo nei reparti antisommossa che spezzano la resistenza della protesta di agricoltori locali, in cui il nostro eroe si trova coinvolto suo malgrado. Poi, ancora un re decaduto, un conte della sterminata "campagne" francese, malato di uno spleen autenticamente snob e rimasto senza soldi per mandare avanti la sua proprietà. Povero sì, ma senza perdere l'aura della grandeur passata, testimoniata da un'ottima educazione e da una generosità nobiliare che lo spinge a condividere l'avventura folle di Fatah, come se fosse una medicina del buonumore, allietata dall'insolita alleanza con il cognato algerino del novello Odisseo, residente a Parigi e senza un braccio, dotato di un carattere e di una vitalità sorprendente.
Le relazioni, sembra volerci dire Hamidi, sono la cura e il toccasana per le nevrosi moderne. Ed è proprio l'abbondante e genuino tessuto relazionale di cui è intriso l'intero racconto a fare di noi degli astronauti su un pianeta troppo a lungo smarrito, ma al quale, in realtà, apparteniamo da sempre per nascita e genetica. Da non perdere.
Voto: 9
Maurizio Bonanni