Elle

23/03/2017

di Paul Verhoeven
con: Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira. Christian Berkel

"Elle" (Lei). Questo è l'eloquente ed esaustivo titolo del nuovo film del regista Paul Verhoeven, dal 23 marzo nelle sale italiane. Soggetto, direi, poco adatto a festeggiare la trascorsa ricorrenza dell'Otto Marzo, e di certo non si tratta di una visione consigliata ai troppo teneri e deboli di cuore. Tutt'altro. Saldata su di una matrice di cinismo plumbeo, l'opera sembra respirare con una sorta di ventilazione forzata, come quella di un corpo spirituale tenuto in vita dall'assurdo del rifiuto della Morte immortale. Un film scandalo, forse, tutto spigoli acuti e piani inclinati orientati sul versante tragico che, come spesso accade, rischia di tramutarsi in farsa. Interprete principale una straordinaria Isabelle Huppert che convince, commuove e fa infuriare allo stesso tempo. Il cast è completato da Laurent Lafitte e Virginie Efira. Soggetto privilegiato e vezzeggiato: la Pazzia, che è peyote, allucinazione e grande bellezza pur nei suoi violenti bagliori cremisi. La preda sanguinante, infatti, è il massimo del piacere per la fiera che se ne nutre.

E, di tutto questo, però esiste anche il lato immateriale inverso e perverso, in cui solo l'essere umano con la sua prodigiosa mente, spesso assai malata ma, proprio per questo, prodiga di genialità e di piaceri disgustosi, appare l'unica attrezzata per l'autoanalisi, per ammettere che sì, la vittima apparente può trarre un grandissimo godimento dal suo martirio, restando viva. Magari con la veste e le mutandine di pizzo lacerate dal desiderio folle di chi ne possiede il corpo per qualche breve resurrezione di virilità maschile, eccitato soltanto dalla potente droga dello stupro e dalla violenza del rapace, in cui il membro si fa becco adunco, lacerante all'esterno e soprattutto all'interno dell'anima posseduta. La materia viva del tessuto relazionale di "Elle-Michèle" è identica a un filo per sutura, dove la Mente, come un gigantesco ago chirurgico, trapassa i due lembi delle molte ferite profonde di ciascuno dei coprotagonisti, e li stringe assieme con grandissimo dolore per chi ne viene trafitto e mai del tutto guarito. Perché una Mente fortissima è guida e timone per quelle più deboli, legate al suo albero maestro da sangue, timore e amore edipico fino a lasciarsi usare come docili strumenti anche per giustiziare, uccidere il male che abita nel cuore del perverso, come del giusto. 

Perché, in verità, nessuno è mai veramente l'una e l'altra cosa fino in fondo: Male e Bene sono perenni vicini litigiosi, appena separati tra di loro da un esile filo rosso. Così, "Elle-La Mente" è un mostro normale di fortitudo, declinata al femminile maturo, capace di metabolizzare il peggio degli istinti e della perversione umana. Figlia della tragedia, la cui infanzia è stata incenerita e annegata nel sangue di decine di vittime senza peccato, protagoniste mute di un eccidio senza ragione. Un potentissimo Auschwitz familiare, insomma, in cui il padre di Lei, una bambina di soli dieci anni, diviene stragista di innocenti, che nulla sa spiegare del suo raptus, scontato in terra col carcere a vita e avvelenato alla fine dal fantasma di una figlia senza perdono. Elle è una donna di successo, manager cinica di un'azienda che produce videogiochi in Francia, in cui esseri mostruosi generano lunghi tentacoli mobili, come radici penetranti, che vanno a nutrirsi delle interiora degli umani, donne in particolare, perforandoli come trivelle in ogni parte del corpo.

Ma Michèle non ha né barriere morali, né pregiudizi apparenti. Rapace verso gli amori altrui, virago e tiranna nei confronti di un figlio debole poco più che ragazzo, spinto da un tale bisogno di paternità da sfiorare l'assurdo permanente. E che cosa dire di sua nonna, moglie dell'anziano mostro e madre della vergine di ferro che incornicia l'anima della protagonista, dissacrante nelle sue maschere al botulino e vampiro di impossibili amori di giovani e aitanti midnight cowboy, pagati con il denaro della figlia ricca? Il climax è quello del trionfo amorale dell'antivirtù nazista, che il meraviglioso film "Portiere di notte" ha saputo analizzare spietatamente nelle sue componenti psicopatologiche, intercorrenti tra la vittima ferocemente abusata e il suo carnefice con la divisa uncinata, divenuto un tranquillo borghese vestito con l'abito di un impeccabile e insospettabile portiere d'albergo.
Anche Michèle vive un rapporto del tutto simile, scoprendo già a metà del film il volto del suo carnefice, lui felino, lei passerotto corazzato. Fino a provare un piacere primigenio, atavico nel trovare terribile godimento in un inconfessabile rapporto sadomaso, consumato all'interno di un magnifico appartamento borghese. Film solo per i forti d'animo, come già detto. Le donne, al pari delle attrici americane che ne hanno rifiutato la parte, avranno non poco da ridire in merito, "I presume".

L'incontro con il Regista

Voto: 8

Maurizio Bonanni