Piccoli crimini coniugali è un capolavoro teatrale che narra una sconcertante e complessa operazione di scomposizione ricomposizione di una coppia matura. Lui, Gilles, uno scrittore di gialli di successo. Lei, Lisa, una casalinga frustrata con velleità artistiche. Un giorno della loro vita, tutto precipita a seguito di un non meglio precisato e misterioso incidente domestico, a seguito del quale Gilles perde temporaneamente la memoria e torna a casa dopo quindici giorni di ospedale. E ambedue, nei loro interni domestici in penombra, si improvvisano nei modi più contorti assassini del loro infinito amore coniugale. Salvo poi a riscoprirsi dei fantastici sarti, che sanno ricucire i lembi delle ferite dove gli strappi sembrano definitivi, densi di tragedia.
Gli interni e le atmosfere del film ricordano quelli della "Guerra dei Roses", anche a causa della forte dimensione cameristica? Nel film, c'è più psicoanalisi o arte? Secondo la regia c'è piuttosto un vissuto sperimentale. Un'interazione forte tra chi dirige e chi interpreta, dove gli spazi vengono riempiti sul posto, senza premeditazione, né progetto. Come fa la vita in diretta, in fondo. Metti in scena i personaggi e li osservi direttamente nel setting. Perché, sta di fatto che pochi sono i testi che raccontano la coppia in modo così naturale. In ogni relazione a due si mette in moto una scena teatrale, dove i suoi coautori sono gli stessi abitanti delle case. Proprio loro: indecisi su chi essere quel giorno e che si plasmano nel tempo in funzione l'una dell'altro. Il prologo musicale è predittivo e tragico, rullato con la musica ossessiva dei tamburi di guerra per l'inizio del film: un insieme disarmonico e non tonale. Percussioni pure. Cuore e ossa che si rompono, o che preannunciano lo strusciare di un tessuto. Tutte sensazioni che prova chi sta andando verso un patibolo quotidiano. Perché, poi, la cosa più importante era "mettere i piedi nelle orme di Schmitt".
Raccontare l'amore ai tempi del rancore, per chi non si accontenta che l'amore sia finito. Come i reduci che tornano da una guerra, avvolti nelle atmosfere di una casa museale, dove non si vede l'esterno dietro vetri completamente oscurati. Non rinunciare al gelo per consentire il disgelo. Dimostrare il teorema di un Uomo ancestralmente più femminile e viceversa. Per questo serviva un finale rovente, il fuoco sulla collina che avvolgesse i due reduci. L'improvvisazione è consustanziata nel testo attraverso i gesti e i comportamenti attoriali. Fissando e chiarendo fin da subito i limiti e le spinte motivazionali, energetiche come molle tese, in cui si lascia che prevalga la forma gestaltica. Per Castellitto, ci vuole coraggio a produrre un film archeologico. Vederlo ricorda un po' l'atteggiamento voyeuristico di chi si trova a sbirciare negli interni del Grande Fratello. Spiare e non guardare. Come si fa quando un etologo piazza telecamere nascoste per rappresentare l'azione, più che a curiosare nella vita degli animaletti nella loro tana, che però indubbiamente sembrano provare piacere a essere osservati.
L'atteggiamento di chi guarda quelle azioni è simile all'espressione dell'ignaro vicino di casa quando avverte che dal muro accanto arrivano delle voci concitate, che lo spingono cieco a immischiarsi negli affari della coppia, che poi sono simili a quelli di tutti noi. Per il successo (e fanno bene!) cast, regia e produttori guardano alle donne che vanno al cinema e sono interessate al conflitto amoroso: loro sì che potranno rintracciare nel film qualcosa del proprio vissuto, mentre "gli uomini, portandocele, si affanneranno alla ricerca angosciosa di un parcheggio" (cit. Castellitto). Per la regia, la costruzione delle scene è simile a un gioco di scatole cinesi, con passaggi segreti e cul de sac, in cui l'assenza di colore sintetizza tutti i colori e ne riassume le diverse interpretazioni. Un rimbalzo assordante nel silenzio più fitto, che ben traduce il senso della follia all'interno del proprio ambiente domestico.
Tutto l'insieme evocativo del dramma interiore di Lei e di Lui non ha senso se non si introduce l'elemento di rottura del loro primo incontro, che fa da punto saldatura tra l'inizio e la fine del viaggio interiore della coppia. Rispetto al testo originale di Schmitt, la scala da interna diviene esterna, da vertigo. Anche l'elemento del fuoco è consapevolmente innovativo, volendo definire una sorta di elemento infantile primordiale: quello della caverna, del loro bambino mai nato, dell'essere spogliati dell'identità individuale per rimanere soltanto Due circondati dal Tutto.
Voto: 8
Maurizio Bonanni