Un
film come questo mancava all’ Italia, tipico
esempio di quella commedia neo-realista del terzo
millennio, ma che riesce a evitare l’autocommiserazione
e le deprimenti “sbrodolate” esistenziali
alla Muccino.
Film al femminile, sono due le protagoniste “portanti”,
la rivelazione Isabella Aragonese e Sabrina Ferilli
(qui nel ruolo di Daniela, capotelefonista, inflessibile
e inaspettatamente fragile), feroce, cinico e
allegro, Tutta la vita davanti è il film-denuncia
del precariato, visto con i disincantati occhi
di chi cerca giustizia in un’ Italia che
sembra non ascoltare.
La trama ripete il calvario di un qualsiasi neolaureato
a pieni voti che non riesce ad esprimere il proprio
talento e le proprie competenze e si deve adattare
a lavori di ripiego che mortificano la sua reputazione
e i suoi sacrifici. Qui Marta (Isabella Ragonese),
una bravissima e bellissima neolaureata in filosofia
(tesi su Hanna Arendt e Martin Heidegger), vive
con curiosità, incredulità l’impiego
part-time alla Multiple, offertole dalla sua coinquilina,
Sonia (Micaela Ramazzotti), una “sciacquetta”
un po’ scapestrata, diametralmente opposta
a lei, ma, in fondo, di buoni principi.
Il compito di Marta è quello di tanti precari
al giorno d’oggi: fare telefonate, procurare
appuntamenti finalizzati alla vendita di un elettrodomestico
da cucina, tutti “schiacciati” e “indottrinati”
da una filosofia della competizione e della meritocrazia
cinica e spietata.
La satira di Virzì è efficace nel
ritrarre questo “ottimismo” e “buonismo”
aziendale di stampo americano (che ipocritamente
nasconde mobbing e nonnismo tra dipendenti e tra
capi), la filosofia dei vincenti, soprattutto
con la trovata della danza motivazionale di inizio
turno: guidate dalla team-leader Sabrina Ferilli,
le telefoniste devono improvvisare tutti i giorni
una specie di coreografia danzante (stile aerobica)
ripetendo a sé stesse di essere le migliori,
salutando con “fresco ottimismo” la
nuova giornata di lavoro che le attende. Un rituale
e un clima di sapore fantozziano, repressione,
sottomissione e frustrazione che durante il film
esploderanno, più di una volta, in un’allegorica
“cagata pazzesca” , ma con conseguenze
più serie e più tragiche. Il finale
e la prosecuzione di Tutta la vita davanti non
è da rivelarsi, anche se alla fine prevarranno
i buoni sentimenti, come è giusto che sia.
In ogni caso questo film non lascia impassibili
gli spettatori, è divertente, ma fa anche
riflettere, sicuramente, pur non essendo assolutamente
un film militante, contribuirà a fare avvicinare
i giovani ai call-center con occhi diversi.
Virzì costruisce dei buoni personaggi,
ognuno un ritratto, abbastanza fedele alla realtà.
Pur essendo un film al femminile (anche perché
il call-center dispone di personale tutto femminile),
i personaggi maschili sono ben caratterizzati:
Elio Germano, un represso e apparentemente motivatissimo
dealer del robottino “Multiple”; Massimo
Ghini, il carismatico, fintamente generoso e gioviale
direttore generale dell’azienda, da tutti
venerato come un padre più per opportunismo
e per paura, che per un reale sentimento; Valerio
Mastandrea, la figura più amara e commovente
del film, il sindacalista che cerca di aiutare
le ragazze a denunciare i soprusi e per tutta
risposta viene quotidianamente dileggiato, cercherà
di intrecciare una storia con Marta, ma senza
gran successo. Mastandrea rappresenta il fallimento
del sindacato italiano e, al tempo stesso, l’incapacità
dei giovani d’oggi alla ribellione, narcotizzati
e soverchiati dai giochi di potere.
Dice Virzì di questo ultimo lavoro: Il
mio è un film dallo sguardo civile, una
commedia all’italiana che arriva dopo anni
da Ovosodo, il mio primo film sul lavoro del nuovo
millennio.
Una dichiarazione un po’ troppo ambiziosa,
accontentiamoci forse di dire che Tutta la vita
davanti è un film che, metaforicamente,
restituisce ai giovani il posto che meritano.
Voto: 6
Carlo Lock