I
tre fratelli Whitman non si parlano da un anno,
da quando il padre è morto in un incidente,
e le loro vite nel frattempo non sono andate a
meraviglia. Il maggiore, Francis, si è
sfasciato in moto ed è salvo per miracolo,
Peter è in crisi per la prossima nascita
di un figlio e Jack ha la vita sentimentale disastrata
e la carriera di scrittore in declino. La madre,
poi, si è da tempo rifugiata in India,
dove dirige un monastero e non solo non è
venuta al funerale, ma sembra rifiutare i figli.
Così Francis pensa che un viaggio appunto
in India, carica com'è di spiritualità,
possa riavvicinare i fratelli tra loro, e alla
madre. Ma durante la strada insorgono incomprensioni,
contrasti e una serie di intoppi, taluni comici,
altri tragici: perché per quanto programmato,
un viaggio rivela sempre degli aspetti insoliti
e imprevedibili.
Un classico film on the road, dunque, dove lo
svolgersi della strada accompagna l'evoluzione
interiore dei personaggi, e un dramma sulle dinamiche
famigliari e, soprattutto, sull'elaborazione del
lutto, ma dove i temi gravi sono trattati con
leggerezza da commedia, dialoghi e situazioni
brillanti e umorismo stralunato, ottimamente sottolineato
dall'interpretazione “busterkeatoniana”
dei tre protagonisti.
La regia è assai apprezzabile e ben ritmata,
la fotografia di Robert Yeoman colorata e incisiva
al punto giusto, le scenografie e le location
di grande suggestione, il coro degli interpreti
minori ben affiatato e le musiche sempre gradevoli.
Cosa non funziona, allora, pienamente? Diremmo
il finale, o meglio la spasmodica ricerca di un
finale, che pare ancora più difficile della
ricerca che i protagonisti fanno su se stessi.
Con l'inesorabile pericolo della retorica piagnucolosa
sempre dietro l'angolo, il film annaspa per venti
minuti di troppo ( e dura solo 90!) proponendo
una serie di chiuse, alcune anche convincenti
(la migliore: la carrellata su tutti i personaggi
della vicenda intenti nel loro proseguire quotidiano),
ma continuando invece ad andare oltre, verso l'ultima
pacificazione, l'ultima spiegazione, l'ultima
inquadratura. Trovata piacevole quanto
insolita, il film è preceduto da un cortometraggio,
Hotel Chevalier, che di per sé non offre
molto, a parte un nudo di Natalie Portman, ma
che nel corso del film seguente (infatti presentato
come “seconda parte”) trova una serie
di legami e spiegazioni.
Voto: 6,5
Elena Aguzzi