Armored philosophy. O, come dire, the combacting philosophy: una modalità inedita e complessa, apparentemente arida, in cui si equiparano i personaggi che popolano il vivere quotidiano a un corpus estraneo di coscienze sospese a un filo esile che ha un nome assai semplice: Egoismo. Un'esistenza, quella della protagonista, devoluta a un combattimento senza tregua e quartiere, che si riveste della corazza impenetrabile di Achille, ma vuole dimenticare il suo tallone esposto. Quest'ultimo costituito, cioè, da una parte anatomica che ricorda a un semidio la sua natura mortale. Nel film ci appare una filosofia simile a una possente macchina "tout-terrain", che spinge all'abbandono dei tracciati segnati sulle carte della conoscenza, per sempre più frequenti e spericolati fuoripista lungo gli sterrati della dialettica, in cui le radici del sottobosco infestano i sentieri con le loro sporgenze, li ingobbiscono lasciando che tutto sobbalzi: il coach, così come gli stati d'animo dei suoi passeggeri.
La Stella Polare dell'intelligenza declinata al femminile, un po' feroce nella sua spietata determinazione, troverà sempre la direzione preferita. Malgrado le tempeste magnetiche che scateneranno violenti torrenti di emozioni, sempre imprigionati dalla protagonista all'interno del suo sarcofago di moderna vergine di ferro, che può lasciare in vita solo chi ha la forza di impedirle di richiudersi su se stessa dilaniando così gli incauti ospiti, attirati come le falene dalla luce dal suo fascino irresistibile di odalisca dalle belle lettere. Lei, l'incrollabile, che impedirà alle lacrime di consumare il loro percorso di sollievo ed espiazione e farà di un simbolo della iattura, una gatta nera un po' obesa, l'ancora di salvezza del suo cuore solitario e indurito. Quello della professoressa di lettere e filosofia Nathalie. Una ex sessantottarda senza più illusioni, che spiana i vagiti di una rinascente, quanto inutile protesta studentesca, con un cipiglio da sergente maggiore che fa l'appello di giornata per ordinare in fila le sue reclute.
Ma Nathalie è pur sempre un castello sotto assedio, affamato fino allo sfinimento nei suoi affetti e nel suo narcisismo intellettuale, entrambi messi a dura prova, da un lato, dagli amori fedifraghi di un tradimento coniugale che spezzerà (senza ritorno per decisione di colei che è stata tradita) un percorso comune durato un quarto di secolo. L'altra assediante, la più pericolosa e peggiore di tutti, è rappresentata da una madre inconoscibile, totalmente riflessiva nella paranoia di un suo vissuto alterato di femme fatale, che non ha saputo trattenere nulla dei suoi tre matrimoni, tranne quell'unica figlia, messa fuori dal suo ventre quasi per caso ma che, nel progredire della sua demenza senile, vorrebbe a tutti i costi far tornare nel proprio utero, afferrandola con gli artigli della paura della morte, dell'autodistruzione che copre il vuoto terribile di un'esistenza finita nel nulla. Un materno senza un indirizzo noto dove potersi rifugiare, chiedere affetto e consolazione. Seppellito, finalmente, con l'accompagnamento di un caos calmo, in cui solo un'orazione funebre scoprirà qualche tratto autobiografico della defunta, illustrato da un'impassibile Huppert al celebrante, in una sorta di intervista post mortem.
Ma anche la fine del suo matrimonio si svolge senza il minimo dramma: la fiera prof.ssa Nathalie si confronta con assoluta indifferenza, senza dire una sola parola, a una rivale ignota e vincente. Come una sorta di pratica burocratica. Senza liti e senza nessuna possibilità di ritorno, tentata da lui con la sorpresa di un mazzo di rose lasciate sul tavolo e terminate ingloriosamente, con una semplice smorfia di disgusto, nella poubelle casalinga. The armored philosophy si avvarrà sapientemente delle sue difese hitleriane anche quando il pilastro intellettuale, quello costituito dalla collana colta della philò, diretta dalla protagonista, affonderà nelle sabbie mobili della mancata redditività economica e commerciale, così decretata da una coppia di american boys tanto ignoranti quanto spietati.
Tutto crolla attorno a Nathalie, tranne le sue granitiche certezze, l'illimitata fiducia in sé stessa, che la condurrà ben oltre l'ennesima delusione per il suo bellissimo e geniale studente, che sceglie un ramo falsamente dialettico della sua, in fondo, spietata e illusoria universalità anarchica, che si agita in un vuoto ricolmo soltanto di parole colte, prive di una pur minima possibilità di sperimentazione nella pratica quotidiana. Solo alla fine si capirà la scelta di questa sconcertante protagonista, che sceglierà l'alternativa esclusiva della carnalità, in cui lei, donna matura e con i piedi ben piantati a terra, si farà carico con grande naturalezza della sua famiglia nuova e giovane: quella costituita dai propri figli e nipoti.
Decisamente un buon film. Pur in quel fluire delle sue correnti emotive in un letto insidioso e sabbioso, adagiato sullo strato infido di un'argilla precaria, reificata in un'interrotta angoscia silente che ammalora le vene come farebbe una leucemia dello spirito. Per dire: morte e resurrezione sono sempre e soltanto all'interno di Noi stessi!
Voto: 8
Maurizio Bonanni