Ortone e il mondo dei chi

03/05/2008

di Jimmy Heyward e Steve Martino
con:

Spesso arrivano dall'America dei film tratti da “classici per l'infanzia” che noi (italiani), per ragioni nazionali piuttosto che generazionali, non conosciamo affatto. È il caso delle opere del dr. Seuss, autore di questo “Horton hears a Who”, oltre che del “Grinch” e del “Gatto e il cappello matto”, che noi (plurale majestatis) mai avremmo conosciuto se non fosse stato per i film con Jim Carrey.
Questa doverosa introduzione per dire che, nel commentare “Ortone e il mondo dei chi”, non possiamo sapere quanto sia farina del sacco del dr. Seuss e quanto creazione degli eventualmente geniali sceneggiatori. Il sospetto è che alla base ci sia la favola in rima recitata dalla voce narrante e che i dialoghi e diverse situazioni siano opera del team realizzativo, il quale, comunque, ha attinto agli archivi dello scrittore per la traduzione grafica della evidentemente sfrenata fantasia del signor Seuss, ma è solo una supposizione.
“Sorprendentemente bello”, è stato definito da alcuni colleghi. Ma “sorprendentemente” è avverbio qualitativo o sorpresa per il fatto che il film sia bello? Per noi lo è in entrambi i sensi.
Eravamo infatti perplessi: il lanciarlo come “dagli stessi realizzatori dell'Era glaciale” (cioè dallo stesso team di produzione, la Blue Sky) poteva essere uno specchietto per le allodole, e trattarsi solo di una bambinata. Il disegno dell'elefante Ortone visto in preview era tenero e accattivante, ma piuttosto infantile; quanto alla perfezione della resa di pelo, piume e acqua (più vera del vero) non è più questione di bravura dei disegnatori ma di evoluzione dei programmi grafici .- e quelli della Blue Sky sono al top coi succitati elementi. Invece “Ortone” si è subito rivelato divertente, colorato, pieno di sorprese, poetico senza scivolare nella lacrima facile: un po' melensa e abbastanza fuori luogo la soluzione del rapporto padre-figlio, ma non dimentichiamoci che, in fondo in fondo, è pur sempre un film per l'infanzia.
In fondo in fondo. Ma proprio in fondo, o meglio in superficie, quella che si limita a compiacersi degli animaletti e dei fiori e dei bambini che popolano la pellicola. Perché ad apprezzarlo in pieno saranno invece gli adulti, pur senza essere, grazie a dio, il solito cartone “per grandi” volgarotto e pieno di citazioni cinematografiche stile “Schreck”. La carta vincente di “Ortone” è la miscela tra un umorismo graffiante e surrealista (da torcersi dal ridere la palletta gialla – ma che animale sarebbe?- e la trovata di Vlad, il coniglio coi biscotti), una grafica quasi escheriana (il mondo dei Chi, compresi gli stessi Chi, che non si capisce se sono umani animalizzati o animali antropomorfi) e dei contenuti che più che morali sono addirittura metafisici.
D'accordo: Ortone è un “diverso”, uno che vuole salvare un granello di polvere, convinto che lì dentro vi vivano delle personcine microscopiche, e che pertanto si aliena le simpatie del popolo della foresta (un popolo assai variegato, su cui troneggia una cangura che ha ben poco del canguro salvo il marsupio); ma dopo un solo minuto di film siamo già piacevolmente informati che non è il solito, scontato, film sulla tolleranza delle diversità (ci era già arrivato Dumbo 68 anni fa, tanto per restare in ambito di elefanti), ma che il tema portante è che “se non lo vedo, non lo sento e non lo tocco, allora non esiste”. Accidenti. E da contraltare c'è la vicenda del popolo dei Chi, che vive felice nel suo mondo “senza sapere che sta per finire”. Anche qui è magistrale la figura del sinda-chi, che si rende conto che tutto il suo universo si trova racchiuso in un granello, e che ogni movimento di Ortone può provocare smottamenti e cambiamenti climatici – e che, ovviamente, appena cerca di dirlo viene preso per pazzo (anzi: babbeo). Ma ci pensate, in un film per bambini, battute del tipo “hai mai la sensazione che qualcuno dall'alto ti stia guardando, qualcuno di immenso, che non puoi vedere...un elefante?”.
L'edizione italiana ha una buona traduzione e un doppiaggio che sarebbe più che dignitoso (molto bene, come sempre, Veronica Pivetti), ma ahimé uno dei motivi di scetticismo si è dimostrato fondato: Christian de Sica nel ruolo di Ortone (in originale c'è Jim Carrey). Il buon de Sica è senz'altro meglio come doppiatore che come attore, ma sarà un suo vezzo, sarà una facile caduta del direttore di doppiaggio (Fiamma Izzo), fattostà che l'accento romanesco e i vari “ahiio”, “eddaje” “ahò” “anvedi” “porca paletta”sono assolutamente stonati col resto del film, di troppa facile presa su un pubblico televisivo e del sud e non inerenti al contesto. Non ci faremo pertanto influenzare, nel nostro giudizio sul film, da questa circostanza e ci limitiamo a rammaricarcene.

Voto: 7,5

Elena Aguzzi