
Spesso
arrivano dall'America dei film tratti da “classici
per l'infanzia” che noi (italiani), per
ragioni nazionali piuttosto che generazionali,
non conosciamo affatto. È il caso delle
opere del dr. Seuss, autore di questo “Horton
hears a Who”, oltre che del “Grinch”
e del “Gatto e il cappello matto”,
che noi (plurale majestatis) mai avremmo conosciuto
se non fosse stato per i film con Jim Carrey.
Questa doverosa introduzione per dire che, nel
commentare “Ortone e il mondo dei chi”,
non possiamo sapere quanto sia farina del sacco
del dr. Seuss e quanto creazione degli eventualmente
geniali sceneggiatori. Il sospetto è che
alla base ci sia la favola in rima recitata dalla
voce narrante e che i dialoghi e diverse situazioni
siano opera del team realizzativo, il quale, comunque,
ha attinto agli archivi dello scrittore per la
traduzione grafica della evidentemente sfrenata
fantasia del signor Seuss, ma è solo una
supposizione.
“Sorprendentemente bello”, è
stato definito da alcuni colleghi. Ma “sorprendentemente”
è avverbio qualitativo o sorpresa per il
fatto che il film sia bello? Per noi lo è
in entrambi i sensi.
Eravamo infatti perplessi: il lanciarlo come “dagli
stessi realizzatori dell'Era glaciale” (cioè
dallo stesso team di produzione, la Blue Sky)
poteva essere uno specchietto per le allodole,
e trattarsi solo di una bambinata. Il disegno
dell'elefante Ortone visto in preview era tenero
e accattivante, ma piuttosto infantile; quanto
alla perfezione della resa di pelo, piume e acqua
(più vera del vero) non è più
questione di bravura dei disegnatori ma di evoluzione
dei programmi grafici .- e quelli della Blue Sky
sono al top coi succitati elementi. Invece “Ortone”
si è subito rivelato divertente, colorato,
pieno di sorprese, poetico senza scivolare nella
lacrima facile: un po' melensa e abbastanza fuori
luogo la soluzione del rapporto padre-figlio,
ma non dimentichiamoci che, in fondo in fondo,
è pur sempre un film per l'infanzia.
In fondo in fondo. Ma proprio in fondo, o meglio
in superficie, quella che si limita a compiacersi
degli animaletti e dei fiori e dei bambini che
popolano la pellicola. Perché ad apprezzarlo
in pieno saranno invece gli adulti, pur senza
essere, grazie a dio, il solito cartone “per
grandi” volgarotto e pieno di citazioni
cinematografiche stile “Schreck”.
La carta vincente di “Ortone” è
la miscela tra un umorismo graffiante e surrealista
(da torcersi dal ridere la palletta gialla –
ma che animale sarebbe?- e la trovata di Vlad,
il coniglio coi biscotti), una grafica quasi escheriana
(il mondo dei Chi, compresi gli stessi Chi, che
non si capisce se sono umani animalizzati o animali
antropomorfi) e dei contenuti che più che
morali sono addirittura metafisici.
D'accordo: Ortone è un “diverso”,
uno che vuole salvare un granello di polvere,
convinto che lì dentro vi vivano delle
personcine microscopiche, e che pertanto si aliena
le simpatie del popolo della foresta (un popolo
assai variegato, su cui troneggia una cangura
che ha ben poco del canguro salvo il marsupio);
ma dopo un solo minuto di film siamo già
piacevolmente informati che non è il solito,
scontato, film sulla tolleranza delle diversità
(ci era già arrivato Dumbo 68 anni fa,
tanto per restare in ambito di elefanti), ma che
il tema portante è che “se non lo
vedo, non lo sento e non lo tocco, allora non
esiste”. Accidenti. E da contraltare c'è
la vicenda del popolo dei Chi, che vive felice
nel suo mondo “senza sapere che sta per
finire”. Anche qui è magistrale la
figura del sinda-chi, che si rende conto che tutto
il suo universo si trova racchiuso in un granello,
e che ogni movimento di Ortone può provocare
smottamenti e cambiamenti climatici – e
che, ovviamente, appena cerca di dirlo viene preso
per pazzo (anzi: babbeo). Ma ci pensate, in un
film per bambini, battute del tipo “hai
mai la sensazione che qualcuno dall'alto ti stia
guardando, qualcuno di immenso, che non puoi vedere...un
elefante?”.
L'edizione italiana ha una buona traduzione e
un doppiaggio che sarebbe più che dignitoso
(molto bene, come sempre, Veronica Pivetti), ma
ahimé uno dei motivi di scetticismo si
è dimostrato fondato: Christian de Sica
nel ruolo di Ortone (in originale c'è Jim
Carrey). Il buon de Sica è senz'altro meglio
come doppiatore che come attore, ma sarà
un suo vezzo, sarà una facile caduta del
direttore di doppiaggio (Fiamma Izzo), fattostà
che l'accento romanesco e i vari “ahiio”,
“eddaje” “ahò”
“anvedi” “porca paletta”sono
assolutamente stonati col resto del film, di troppa
facile presa su un pubblico televisivo e del sud
e non inerenti al contesto. Non ci faremo pertanto
influenzare, nel nostro giudizio sul film, da
questa circostanza e ci limitiamo a rammaricarcene.
Voto: 7,5
Elena Aguzzi