
Insegnare è un'arte o un commercio d'anime? La Bratislava del socialismo reale della Cecoslovacchia del 1983 (quindi, a poco più di un lustro di distanza dalla catastrofe del 1989) conferma la seconda ipotesi. Tratto da una storia reale, il film "The Teacher" che sarà nelle sale italiane dal 7 settembre per la regia di Jan Hřebejk, si ispira a una storia vera. L'insegnante, una vedova intraprendente, insegna materie letterarie in una scuola media, di cui è tra l'altro la responsabile del Partito Comunista ceco. L'arte praticata, però, non è quella dell'insegnamento, bensì di come trarre il massimo profitto da quest'ultimo facendo leva sull'unico strumento a sua disposizione: l'assegnazione dei voti di profitto ai suoi studenti. Una variabile indipendente quest'ultima, di cui solo lei ha le chiavi e il controllo: ai genitori più disposti a erogare favori alla povera vedova vengono suggeriti argomenti puntuali, che i loro figli dovranno poi studiare a casa per ricevere buoni voti alle interrogazioni del giorno seguente. Quindi, il primo giorno di scuola l'appello non viene fatto per conoscere gli alunni, ma ha lo scopo esclusivo di scoprire (segnandole accuratamente a penna su di un taccuino) le professioni e i mestieri praticati dai loro genitori.
Tramite i loro figli, a ognuno di essi verrà richiesto dalla prof.ssa Maria Drazdӗchova una prestazione o un servizio particolare: riparazioni, preparazione di dolci artigianali, marmellate fatte in casa, cucinare verdure dell'orto e, persino, mettersi in fila al suo posto per l'acquisto di beni di prima necessità. Agli stessi studenti, invece, la spregiudicata Maria chiederà prestazioni orarie extrascolastiche per le pulizie domestiche nella sua abitazione privata. Chi non si piega, vedrà i suoi figli umiliati e penalizzati con voti bassi e censure varie di fronte alla classe. Per l'ambiance, l'effetto disastro sociale ed economico è, fin da subito prepotente, come deve esser per un film verità interamente ambientato nelle atmosfere cupe del socialismo reale, in cui le frontiere nazionali sono ermeticamente chiuse per non permettere ai sudditi cittadini di votare.. con i piedi! Il senso è di una grande, diffusa depressione sociale e soggettiva. Nessuno dei protagonisti si sottrae alle atmosfere grigie e squallide circostanti, dove il gusto per l'estetica è bandito, per odio ideologico nei confronti dell'individualismo, nemico del bene collettivo e demone del capitale, neutralizzato dalla statalizzazione dei mezzi di produzione.
Ma il dono avvelenato del collettivismo è l'imposizione di intollerabili disagi e privazioni nella minuta vita quotidiana, come le interminabili file agli spacci autorizzati che si formano di primissima mattina, per acquistare beni di prima necessità come pane, latte e carne e le introvabili verdure, che i contadini fanno crescere di nascosto per le proprie necessità e per il mercato nero. I luoghi abitati, ovvero gli interni come gli esterni degli edifici, sono ammalorati da uno squallido, programmato e sciatto abbandono. Si dà la casa semigratuita, ma non il piacere di abitarla; chi passa in strade anonime e senza manutenzione è respinto dalle immagini urbane circostanti, che rimandano lo spartito di un cemento brullo, guasto e annerito, mentre gli interni delle case sono suddivisi in ambienti augusti e spartani, in cui gli arredi autoctoni e anestetici sono esclusivamente confinati alla loro rigida funzione e le lampade da tavolo, più volte riparate, stanno a stento in piedi. Il "bello" classico, per così dire, è confinato alle facciate pacchiane e volgari del gusto neoclassico degli edifici di Stato e del potere comunista, con una sola eccezione: lo sport dove i Paesi socialisti dovevano a ogni costo eccellere (del resto, erano le uniche apparizioni pubbliche autorizzate per i loro atleti nelle manifestazioni internazionali), anche a costo di ricorrere a pratiche dopanti illecite e pericolose per la salute. Così, la piccola protagonista Danka è una speranza della ginnastica ritmica, mentre l'altro "diverso" è un campione in erba di lotta grecoromana, di cui suo padre è istruttore.
Allora, poteva accadere che un astrofisico, la cui moglie, una scienziata famosa, era riuscita a riparare all'estero, venisse punito con la degradazione sul campo e costretto a fare i mestieri più umili per mantenere suo figlio, esattamente a quanto accade al protagonista de "Le vite degli altri". Ovviamente, dall'ex professore Maria vuole l'unica cosa che il povero tipo possa offrirle: la sua compagnia di uomo solo. Ma, l'edificio intriso di opportunismo e di ricatto crolla, al momento in cui Danka è ricoverata in coma all'ospedale, a seguito di un tentato suicidio originato da una pesante umiliazione sul suo QI inflittale davanti a tutti dalla spregiudicata Maria. Due donne, preside e vicepreside, allora, pilotano con grande maestria una tesissima riunione dei genitori, in cui traspare l'atmosfera di diffidenza verso l'Altro propria di quei regimi di spie e traditori della porta accanto. Alla fine, tutti firmeranno per l'espulsione dell'insegnante nel chiuso del confessionale della stanza della preside.
Voto: 8
Maurizio Bonanni