La Ragazza nella Nebbia

26/10/2017

di Donato Carrisi
con: Toni Servillo, Alessio Boni, Jean Reno, Michela Cescon, Lorenzo Richelmy, Galatea Ranzi

Il Male inganna. Nasce dall’individuo ma si nasconde abilmente, nelle sue mille mimesi, nella foresta inestricabile delle relazioni umane. E quello della “Ragazza nella nebbia” origina con un esile figura femminile (una quindicenne che scomparirà nel nulla) che esce dalla porta di una casa di montagna avvolta nella nebbia, e finisce con una mano potente che estrae da un nascondiglio segreto una scatola in cui sono allineate in un ordine non casuale sei ciocche di capelli rossi. Il Male più o meno assoluto, però, è ubiquitario: abita nelle menti dell’educatore, dell’investigatore, dell’anchor man (woman) e dello psichiatra. Il film "La ragazza nella nebbia", nelle sale italiane ed europee dal 26 ottobre, del regista esordiente Donato Carrisi (autore del romanzo thriller che porta lo stesso titolo), è magistralmente interpretato da Toni Servillo (l'Ispettore Vogel), Alessio Boni (il Professore) e Jean Reno (lo  psichiatra). Ciò che appare, tutti i personaggi in scena, hanno la doppia natura del Dr Jekyll e Mr Hyde. Perseguono e sono perseguitati. 
 
Anche per Alessio Boni la sceneggiatura è una sorta di scandaglio per portare alla luce il seme del male che è latente (o manifesto, in sostanza come in apparenza) in ognuno di noi, anche se non compare in forme più esplicite, perché ha un suo individuale "geroglifico esistenziale" (ecco a dunque la funzione svolta dalla psichiatria). La condizione vale per gli attori e per tutti gli altri professionisti: l'anchor woman, il  poliziotto, lo psichiatra, i devoti talebani della comunità religiosa del piccolo paesino. La matrice è contenuta nella dissolvenza tra un plastico in legno del locale paesaggio urbano e montanaro, e l'ambiente circostante immerso nelle sue vere atmosfere e umori caratteriali. Altro aspetto di contenuto sostanziale è dato dalla questione del perché un famoso scrittore debba rimettersi pericolosamente in gioco come regista. Ma per Carrisi l'Autore è solo un filtro che serve a guidare l'interpretazione di massima. Poi, però, la storia deve passare di mano in mano. Il film in buona sostanza è stato l'opera scenica di tanti altri autori: il cast, lo scenografo, il costumista, il fotografo e il musicista. Ciascuno di loro ha messo qualcosa di suo e la regia ha soltanto dato grande fiducia, come nel caso di Boni: ciò che mancava nella mente dell'Autore, lui lo ha completato. E così via.
Altro aneddoto: il tecnico del suono, il fonista, si era procurato lo squillo del telefono utilizzato in "C'era una volta l'America" e lo ha regalato a Reno nel momento topico del film. Poi, certo, partendo dalla esperienza diretta di Carrisi, che aveva visto diventare un vero affare la gestione di una squallida pizzeria di uno sperduto paesino, a seguito di un efferato crimine di cronaca nera, si è riportato il tutto all'interno della storia narrata. Perché in queste cose c'è un'enorme ricaduta mediatica: basta un inviato e un operatore per rendere il reportage in diretta molto più redditizio di una fiction tirando a lungo l'evento per parecchi giorni, a beneficio di un pubblico in attesa famelica a casa propria. Nel film non ci sono innocenti: si rompe uno specchio e si consegnano i frammenti allo spettatore. Il mostro, alla fine, non è che un riflesso di noi stessi: se vi siete fidati di Martini e dello psichiatra siete un po' mostri anche voi, dice Carrisi.
 
Il suo focus del film converge, infatti, sulla creazione mediatica dei mostri e delle investigazioni accessorie extra ordinem, in cui il risultato voluto dai suoi ideatori-esecutori è preordinato, preconfezionato in ossequio a un’economia dell’indotto mediatico in cui il sensazionalismo riempie le casse delle major televisive. I suoi prodotti artefatti si installano come un cuore velenoso in decine di milioni di case per essere gustato come un piatto caldo appena sfornato, al quale ogni giorno bisogna aggiungere nuovi ingredienti, sempre più eccitativi del voyeurismo malato che ci contraddistingue. Una griglia audiovisiva in cui tutto brucia ed evapora: affetti familiari, reputazione sociale e la salute dei protagonisti negativi, finti e veri. Nessuno gioca un ruolo chiaro, perché noi non siamo mai abitati da alcuna verità assoluta! Perfino chi è tutore della Regola manipola le prove della presunta colpevolezza pur di avere ragione. Perché la strada dell’Inferno è sempre lastricata di buone intenzioni! Fatti e misfatti e viceversa: manipolazioni che divengono prove per una sentenza di condanna in corte di assise! Un film che nasce (come testimonia il regista nella conferenza stampa) prima, come sceneggiatura e poi rielaborato in libro che ne è una conseguenza occasionale.

La psichiatria è uno specillo chirurgico che serve per rubare il male che è negli altri, quasi una maschera greca dietro la quale si celano ben altre mostruosità: il seme del Male è, in realtà, in ognuno di noi e troppo spesso attende solo di crescere, di essere nutrito dalle pulsioni più basse immerse nell'inconscio più profondo. Così, tutti gli interpreti del film hanno un loro Doppio oscuro, le cui ombre si allungano nel passato come nel presente. Doppi diari di giovinette, uno per la mamma e l'altro per il segreto, le passioni nascoste e proibite. Come sentire il sorriso argentino di un bambino nel cuore della notte quando si è soli in casa e senza figli. Trote arcobaleno che si tramutano in sirenette dai capelli rossi e dai volti lentigginosi, nude ed eteree con la loro pelle di porcellana. Mogli e figlie che cercano disperatamente di allontanare da sé l'idea del padre mostro, ma la tempesta non ha riguardo per le imposte, e il torrente di fango si riversa impetuoso e inarrestabile nelle case più rispettate, sommergendole nel discredito e nello scandalo.

Voto: 8

Maurizio Bonanni