Una festa di sangue, l’avrebbe definita Herschell Gordon Lewis, ormai dimenticato precursore del “gore”. Una boccata d’aria fresca che ridona vitalità a un filone, l’horror, in stato asfittico. Nella rivisitazione dei registi di “The Void” il passato del cinema del terrore rivive in maniera creativa e imbocca, o quantomeno lascia intravedere, nuove strade.
Nelle pagine di questa testata abbiamo spesso messo in evidenza la mancanza di originalità di tante pellicole che rubacchiavano idee altrui. Kostanski e Gillespie, invece, citano, prendono spunto e omaggiano senza impaludarsi nello scontato. Si confrontano con la ricchezza di un patrimonio ragguardevole (tra gli altri, l’Howard Hawks filtrato dal Carpenter della “Cosa” e di “Distretto 13 – Le brigate della morte”; il Cronenberg di “Brood” e del “Demone sotto la pelle”; il Clive Barker dei Supplizianti di “Hellraiser”; il Romero della “Città verrà distrutta all’alba”) e la rinnovano. A grandi linee, la messa in atto di quanto indicava il modernista T.S. Eliot nel saggio “La tradizione e il talento individuale” (1919).
Isolati, accerchiati e profondamente turbati, i protagonisti dovranno affrontare una minaccia spaventosa che incombe su di loro; un pericolo terribile quanto oscuro, la cui natura rimane sfuggente fino alla fine.
Mescolando componenti metafisiche, francamente un po’ risibili, e fisicità spinta fino al parossismo (le scene truculente abbondano), “The Void”  si cimenta in tale “ossimoro” guardando anche ai risultati ottenuti dal compianto Lucio Fulci in “E tu vivrai nel terrore! L’Aldilà” e “Quella villa accanto al cimitero”, film citati esplicitamente in alcune sequenze, e per tutta la sua durata spiazza lo spettatore, lo colpisce allo stomaco, gli presenta squarci visionari.
Una vera, gradita sorpresa: c’è ancora qualcuno in grado di incutere terrore con immagini in movimento su un grande schermo.

Voto: 9

Andrea Salacone