British Invasion!
Risale a poche settimane fa l’inaugurazione a Milano della mostra, magnifica, sugli anni Sessanta e la controcultura “REVOLUTION. Musica e ribelli 1966-1970 dai Beatles a Woodstock”, già allestita dal settembre 2016 al febbraio 2017 al Victoria & Albert Museum.
Ulteriore e degna celebrazione di quel periodo fecondo e irripetibile, che ha segnato in maniera indelebile la cultura del secondo Novecento, arriva nei nostri cinema, ma solo per una settimana, il documentario “My Generation”.
Opere come questa sono benaccette, anche se non riservano autentiche sorprese a chi si è già documentato sulla Swinging London, magari pure grazie a saggi come quelli scritti da Barry Miles e/o a pellicole quali “Amazing Journey: The Story of the Who” (efficace spaccato dell’Inghilterra del secondo dopoguerra) e “I Love Radio Rock” (le radio pirata che svecchiano la programmazione radiofonica dell’epoca).
“My Generation” offre un’ora e mezza di materiali d’archivio, sebbene alcuni già visti, che documentano i cambiamenti progressivi e radicali, a livello sociale e culturale, apportati in quel periodo dalla musica e dalle arti visive (cinema e fotografia); mutamenti che dall’Inghilterra si irradiarono, in forme diverse, in numerose parti del mondo.
L’istrionico Michael Caine, il celebre Alfie protagonista dell’omonima pellicola diretta da Lewis Gilbert nel 1966, ci accompagna in questo viaggio tra fotografie, spezzoni di film, filmati e interviste con artisti e noti esponenti dell’epoca (tra gli altri, la modella Twiggy, la stilista Mary Quant, la cantante Marianne Faithfull).
Il documentario coglie pienamente l’atmosfera ingessata, perbenista e sessuofobica che si respirava nella Londra del tempo, e sottolinea la rigida divisione di classi che la caratterizzava.
Negli anni Sessanta, una nuova generazione cominciò a opporsi a tutto questo, dando uno scossone vigoroso alla società.
Pochi anni, ma sufficienti a contrapporre il sogno alla realtà, la creatività al grigiore quotidiano, la sperimentazione a formule ormai logore, sonorità elettrizzanti alla musica scialba trasmessa dalle radio; a proporre nuove soluzioni nel campo delle arti figurative e costumi disinvolti (oltraggiosi per i benpensanti; l’invenzione della minigonna, un terremoto, un attacco alla morale che molti non riuscirono a mandare giù); ad accendere e inseguire il desiderio, a un passo dall’utopia, di immaginare un mondo diverso.
Sul piano della musica, una rivoluzione innescata un decennio prima, negli Stati Uniti, con il rock and roll (dinamiche non dissimili: per i “grandi” le nuove sonorità dei “giovinastri” sono sgraziate, rumorose, lascive). Un rinnovamento, che attingeva dalla tradizione per reinterpretarla o stravolgerla, apportato da mostri sacri quali Beatles, Rolling Stones, The Who e Kinks (a proposito, imperdonabile non citarli nel documentario, anche se tre loro brani ne arricchiscono la splendida colonna sonora).
A voler cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe rilevare qualche mancanza deplorevole. Sono assenti, ad esempio, riferimenti espliciti allo sguardo disincantato e impietoso sulla realtà offerto dal Free Cinema; allo skiffle – genere musicale suonato con strumenti costruiti alla buona, di cui si appassionarono, giovanissime, tante future star della “popular music” – si accenna senza mai nominarlo.
Tuttavia, “My Generation” rimane un’opera divulgativa encomiabile, ricca di immagini di repertorio, testimonianze e commenti che ben rappresentano quell’epoca. La visione è più che vivamente caldeggiata.
Voto: 8
Andrea Salacone