
Le onde oceaniche? Per quanto giganti, non solo non fanno paura ai surfisti d'alta quota, ma sono anche un evento tra i più ricercati: più sono verticali, più si vola a pelo d'acqua e, poi, se sommersi, quando il maroso ha la meglio su di te (il che accade quasi sempre..), sul tuo precario equilibrio, si riemerge intatti come altrettante fenici. Ecco, nel caso della nostra straordinaria protagonista di "I, Tonya!", per la regia di Craig Gillespie, i pattini da ghiaccio sono la sua tavola e la gravità è il suo peggior nemico, anziché un alleato che ti impedisce di essere proiettato oltre le nuvole. Margot Robbie interpreta Tonya, mentre Sebastian Stan è Jeff Gillooly, il marito, e una strepitosa Allison Janney (che ha ricevuto l'Oscar 2018 come miglior attrice non protagonista) la madre di lei. Quella di Tonya è una storia vera, di cui solo alla fine scorrono filmati d'epoca. In lei, fin da piccolissima, la passione è fuoco e il pattinaggio tutto il suo mondo, la cui funzione la immunizza da un ambiente familiare profondamente diseducativo, violento e degradante.
Il film è molto più un discorso sulla genitorialità malata, sul perbenismo di maniera, che sul genio artistico di una splendida libellula sgradita alle giurie internazionali e domestiche, perché non proprio rispondente al modello di giovane donna americana, degna di vestire i colori nazionali nelle gare ufficiali. Troppo atletica e poco raffinata sia nei costumi (cuciti in casa artigianalmente, prima dalla madre e poi da lei stessa, da brava artista proletaria!) che nelle presentazioni musicali. Un pattinaggio artistico che si vorrebbe.. "libero", quando il metro di misura non può che sfuggire a colei che viene da una condizione disagiata, priva di sponsorizzazioni e armata soltanto dalla sua feroce determinazione a essere la prima in assoluto. Praticamente a qualsiasi costo. Sopportando le angherie di una madre-kapò che senza freni inibitori la vessa e umilia in pubblico, inoculandole l'adrenalina della ribellione repressa, che Tonya scarica puntualmente in migliaia di ore di ossessivo allenamento e poi nelle gare. E come in tutti i veri rapporti sado-maso, e quelli tra lei e sua madre non fanno eccezione, chi li vive nel più pieno coinvolgimento arriva a farne una droga esistenziale.
E, quindi, se li va a cercare anche in età adulta al di fuori di quel rapporto madre-figlia, malato e perverso, come farebbe una qualunque tossicodipendente, arrivando a scegliere un fidanzato, che poi diverrà suo marito, altrettanto violento e bipolare. Proprio da lui, con perfetta continuità, Tonya berrà fino in fondo l'amaro calice della convivenza, con fughe scandite dal suo bel volto insanguinato, e ritorni altrettanto imprevedibili: come sul ring, l'odore del sangue, il suo, è uno stimolo all'ardimento, a osare di più volando con i suoi ripetuti tripli axel dinnanzi ai tavoli impietosi delle giurie, che la declassano malgrado la sua perfezione stilistica; malgrado che i suoi esercizi ed esibizioni siano i migliori di tutti. Ma, Tonya ha un karma "pesante", come direbbero i tantrici, che la porta diritta nel suo inferno di guai extrasportivi, grazie alla feroce stupidità del marito e alla follia di un suo amico grasso, mostruosamente sovrappeso e bulimico, con il cervello fuso, che sogna di essere un agente della Cia e si circonda di assoluti balordi, anche lui incarognito in una povertà americana di famiglie insignificanti, in cui due genitori totalmente inebetiti non sono in grado nemmeno di badare a se stessi.
Così Jeff e il suo amico obeso progettano un piano sgangherato, che purtroppo ha successo, per gambizzare l'acerrima rivale di Tonya, in modo che lei possa andare alle Olimpiadi assieme al suo rivoluzionario triplo axel. Ma, quando non sei fortunata, puoi avere la carriera distrutta da un paio di cretini assoluti e da una madre indegna che ti condanneranno a un eterno purgatorio arido, in cui il ghiaccio sarà solo un miraggio.
Voto: 8
Maurizio Bonanni