Quando le civiltà si scontrano. Nel caso del film "Cosa dirà la gente", dalla parte "illuminata" troviamo la Norvegia fredda, ricca, agiata e ultra moderna dell’Europa del Nord, alla quale si oppone un Oriente antico e oscurantista con le sue solide e immutabili tradizioni millenarie. Ed è un conflitto di urbanesimo in primo luogo, esaltato dalle tristi immagini di una cittadina di provincia del Pakistan con i suoi dedali di viuzze insicure, buie e maleodoranti, delimitate da abitazioni poverissime e prive di pompe di calore per il condizionamento dell'aria. Arrivato il caldo, infatti, in quella parte di mondo non si può più stare tra le quattro mura: così si affollano le terrazze dei piani di copertura delle case, ammassando stuoie e coperte leggere sul pavimento pur di respirare, immersi in un’allegria leggera e verticale come un aquilone, intrisa di un umanesimo vitale e palpitante a noi completamente sconosciuto. Paesaggi urbani ferocemente opposti e contrapposti, dove l'uno, quello orientale, è caos puro con i suoi mercatini ambulanti e venditori furbi e disinvolti; mentre l'altro è tutta tecnologia che squadra, spiana ed edifica nel più puro grigiore del razionalismo architettonico, figlio e oggetto prediletto dell'edilizia e dell'economia di mercato, legata alla speculazione dei suoli e all'arricchimento capitalistico delle imprese di settore.
Queste e molte altre cose che fanno parte della sua autobiografia, la regista Iram Haq ce le racconta ricostruendo la storia del sequestro da parte di padre e fratello di un'adolescente irrequieta (interpretata da una bravissima Maria Mozhdah), imbarcata contro la sua volontà in un volo per il Pakistan per andare a vivere come reclusa nella casa di famiglia di una sorella del padre. Il film è una sorta di origami in cui la forbice analitica ritaglia con cura i suoi personaggi in chiaroscuro, facendo emergere con la forza straordinaria del direttamente vissuto il dramma adolescenziale del distacco da una società di elezione, verso un futuro ignoto e minaccioso. Una sorta di finestra temporale dove in un solo passaggio si viene trasferiti in un altro pianeta, in cui soltanto la lingua comune è l'unico legante tra passato e presente. Così, senza preavviso, veniamo precipitati in un sistema fortemente patriarcale, lasciando il rimpianto di uno spazio civile dove le libertà personali sono ampie, garantite e tutelate e i servizi pubblici, compresi quelli sociali, sono molto attenti ai casi e forniti di eccellenti staff professionali.
I dialoghi e le immagini sono strappi continui, laceranti, emotivamente intensi, che divengono lancinanti e intollerabili quando la polizia pakistana abusa in modo immondo del proprio potere nei confronti di due adolescenti innamorati. Il ruolo delle madri è anche qui lo snodo nevralgico del sistema di potere, che si irradia tutto intero e incontaminato all'interno delle famiglie e delle comunità alle quali queste ultime sono connesse. Quando le figlie si allontanano dalla tradizione e fanno "provare vergogna" ai propri genitori scatta un riflesso condizionato, protettivo che blinda ed esautora l'autonomia individuale delle ragazze, riportandole anche con la forza, il sopruso e l'anaffettività all'interno del sistema di regole tradizionali che si ritengono violate. Soprattutto il sesso e il matrimonio, riparatore e combinato molto spesso, sono i tabù inviolabili, per cui una ragazza in età da marito deve presentarsi illibata al suo futuro sposo affinché l'onore della propria famiglia non venga macchiato.
Così le adulte, malgrado abbiano avuto i loro figli adolescenti nel Paese occidentale di adozione, per sentirsi un po' a casa, mantengono i costumi tradizionali sia nelle forme esteriori dell'abbigliamento che in quelle interiori della mentalità. Sono loro le principali artefici delle crociate contro quelle figlie femmine che aderiscono ai costumi libertini dei loro coetanei occidentali, imitandone i modi disinvolti di esprimersi, sia nella gestualità che nelle mode. E sarà proprio questo aspetto della libertà dei costumi a dover esser eradicato, per il riallineamento implacabile e severo alle leggi non scritte della famiglia e della società d'origine. In questo, non c'è nessun giudizio di valore da parte della regista: ognuno di noi ha il suo luogo privilegiato nel cuore e, pur amando i propri figli, non può fare a meno di riportarli lì, dove palpita un vissuto che non si può né comprimere né recidere. Impressionante è lo sfarzo dei colori, la ricchezza dei caratteri e dell'umanità che caratterizza la comunità pakistana originaria, contro il grigiore della vita moderna di una cittadina fredda e nevosa della lontanissima Norvegia. Un film, per concludere, che non lascia mai neppure per un attimo la sua presa emotiva sullo spettatore!
Voto: 8
Maurizio Bonanni