
La commedia francese sta vivendo un nuovo momento d’oro e sono proprio i nomi femminili a riportarla alla ribalta con una verve tutta nuova. Se il film di Julie Lipinski “Finché nozze non ci separino” era un divertente incontro di equivoci scaturiti dai preparativi nuziali, “Due giorni a Parigi”, la scoppiettante commedia di Julie Delpy alla sua prima prova registica, si rivela graffiante e ritmata da un dialogo brillantissimo. Sotto l’apparente leggerezza, il weekend parigino descritto dalla Delpy è un’ironica e feroce rappresentazione delle diversità culturali e le incompatibilità di coppia una volta messa a confronto con i propri differenti background. Lui, un irresistibile, ipocondriaco e fobico Adam Goldberg, è un americano a Parigi che non ce la fa ad affrontare la mentalità francese troppo aperta di famiglia sessantottina e amici intellettuali della sua compagna, le consuete gelosie retrospettive che comporta il turbinio di incontri con i suoi innumerevoli ex e le condizioni antigieniche del suo appartamento bohèmien. Lei, Julie Delpy, dietro il copione e la macchina da presa spiazza rivelando un volto completamente diverso da quello conosciuto nei film di Kieslowski, mostrandosi brillante, insopportabile, isterica, con tutte le manie della francese colta e progressista tornata in patria. Lo scontro europei/americani non scade mai nel cliché e se lo fa la circostanza è voluta e la regista si diverte a scherzare con gli stereotipi, ironizzandoci sopra.
E’ una commedia gustosa e intelligente, mai volgare nei riferimenti sessuali che lo costellano, mai irritante nelle allusioni politiche, garbatamente sexy, equilibrata nella critica sui due fronti, dialogata con arte.
Amici e parenti della regista completano il tutto prestandosi come attori (i genitori del film lo sono anche nella realtà) e la Delpy si presta a stupire nuovamente cambiando totalmente genere per dirigere “The Countess”, basato sulla storia di una sanguinaria contessa ungherese dedita alla magia nera.
Voto: 7
Gabriella Aguzzi