Troppa Grazia
11/11/2018
di Gianni Zanasi
con: Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron
In "Troppa grazia" manca il miracolo artistico. L'idea era quella di dare (invano) una qualche soluzione mistica ai molti peccati mortali contemporanei che affliggono le moderne società, tra i quali si citano: la speculazione edilizia selvaggia con la costruzione di una nuova cattedrale nel deserto ("l'Onda") per ritirare un po' su le sorti di una piccola cittadina economicamente depressa; la solita infedeltà libertina maschile e femminile che lascia a piedi l'adolescente Rosa, figlia di Lucia (Alba Rohrwacher), senza ancoraggi affettivi, che scambia un duello di fioretto con l'innamoramento; una madre bizzarra e spiantata ma onesta, Lucia, che ha nella sua deontologia professionale di geometra l'unica forza e ragione di vita, accettando però di mettersi al servizio degli speculatori locali pur di sbarcare il lunario; infine Lei, una Vergine Maria (Hadas Yaron, perfetta nella sua parte di Madonna profuga palestinese) aggressiva e manesca come non l'avevamo mai vista pur di imporre alla povera Lucia la sua volontà di costruire una chiesa al posto del futuro ecomostro. Il film inizia con il trittico romantico di madre e figlioletta Lucia in tenera età immersi in un paesaggio collinare semi-incantato, stravolto dall'apparizione di un luminosissimo asteroide non meglio identificato che si va a disintegrare dietro le cime boscate.
Quindi, c'era una ragionevole attesa per scoprire se dietro quel fenomeno naturale ci fosse o meno un prodigio del cielo, vista l'apparizione successiva in situ della Madonna. Invece il racconto prosegue in modo abbastanza disarticolato privo di vere emozioni o effetti speciali, tranne per le botte date da Maria a Lucia e per l'allagamento del centro storico preannunciato dalla Vergine, ma smantellato sul suo significato miracolistico dal pronunciamento dei tecnici addetti al governo delle idrovore e delle fognature locali. Le uniche tensioni blande sono unicamente confinate al rapporto apparizione/sparizione di Maria e all'ossessione di Lucia per sfuggire a quella che lei e tutti coloro che la frequentano vedono come un'allucinazione da stress. Si perde così l'anima del conflitto tra onestà e disonestà con planimetrie 1:50.000 che si spiegano silenziose sui tavoli, senza nulla chiarire in merito alla questione speculativa di fondo e in cui la scoperta della sacralità del luogo è rimandata all'ultima sorprendente inquadratura. Non c'è prete e non c'è popolo per quella visione trascendente.
Quindi, non esistono né Fatima né i suoi paesaggi, ma solo uno stanco andirivieni di fuoristrada, macchine movimento terra e autocarri, senza un vero, ideale trait-d'union tra cielo e terra, tra divino e umano. Le due Lucie, una veramente esistita e l'altra virtuale, non hanno nulla che le accomuni: la prima, quella reale, si fece fedele vettore del sacro imponendolo a gerarchie ecclesiastiche e popolo; l'altra ne ha quasi orrore e continua nella sua mente a trattare da profuga Maria pregando dentro di se che ne torni a casa sua e la lasci in pace. Nulla è trattato con la dovuta cura: né il rapporto tormentato tra la madre e la figlia Rosa adolescente, né quello di Lucia con il suo compagno Arturo (Elio Germano) che ben si presterebbe, ricambiato dalla ragazzina, a colmare il vuoto familiare della figura paterna. Insomma: una visione delle cose sostanzialmente vuota.
Voto: 5
Maurizio Bonanni