Bohemian Rhapsody

28/11/2018

di Bryan Singer
con: Rami Malek, Gwilym Lee, Ben Hardy, Mike Myers, Lucy Boynton, Aidan Gillen, Tom Hollander, Joseph Mazzello

Il titolo del film/biografia di Freddie Mercury è quello del brano più innovativo dei Queen, da quell’album A Night at the Opera fatto per rompere con ogni tradizione e che fondeva melodramma, musical, glamour, stupore. E tale dunque avrebbe dovuto essere il film, uno specchio di quel multiforme protagonista della scena musicale dall’estensione vocale incredibile e dalla vita sfrenata che tra abbagli e lustrini creava, inventava, sorprendeva. Peccato invece che tutto proceda sui binari del biopic, senza guizzi né accelerazioni, senza essere né innovativo né flamboyant, e che alla fine non rifletta il personaggio complesso che vuol raccontare e non ne colga l’anima.
Anche la regia di Bryan Singer, da cui ci saremmo aspettati francamente di più, sa di compitino pulito. Un film come Velvet Goldmine sarebbe stato molto più consono al tema, mentre qui ci troviamo di fronte ai capitoli consueti: parte prima ascesa di una star, parte seconda vizio degrado e solitudine all’apice del successo, in un vortice orgiastico di festini. Forse l’attenta supervisione degli altri componenti della band ha troppo imbrigliato il film che, nel rispetto dei fatti, finisce col banalizzare il ritratto di Mercury invece di lasciarlo libero. Insomma, un film ordinario per un personaggio straordinario.
Dei suoi molti volti ed anime rimane soprattutto il mélo e in questo il film veramente eccede, facendosi in alcune scene addirittura sdolcinato (il tè coi genitori prima di Live Aid è addirittura imbarazzante). Appassionante sì per chi ha vissuto quegli anni musicali, amato la band, ha la curiosità di conoscerne storia e retroscena, con scene musicali trascinanti e un Rami Malek che si prodiga con tutto l’impegno nell’arduo compito di essere Freddie Mercury sullo schermo, ma alla fine ci viene consegnato un racconto composto, spento e freddo, cose che Freddie Mercury proprio non era.
C’è perfino la figura malvagia colpevole di traviarlo sulla cattiva strada e infine la redenzione. Fortunatamente il film fa la scelta di non dilungarsi sugli anni dell’Aids e proprio nella fase finale evita le insidie della retorica. Decide, invece, di chiudersi grandiosamente sul concerto di Live Aid con tutta l’energia e la carica che Mercury e i Queen portavano sul palco, in un saluto che è l’apoteosi di una vita per la musica. E qui davvero sono lacrime, autentiche.

Voto: 6

Gabriella Aguzzi