Cafarnao? Un luogo santo o, al contrario, un "Caos" come intende designare la sua accezione francese? Ma quale disordine? Quello della Mente, delle cose disperse in mille foglietti demoltiplicatori per necessità, rispetto a una miriade di idee narrative (addensate in più di 520h di registrazione!), tratte dalla cruda realtà come altrettante decalcomanie? O l'altro, il Caos fisico, indagato senza veli da una lente sofisticata che si insinua negli angoli più reconditi di una realtà urbana satura di degrado, in cui "i figli vengono al mondo come conigli" ammassati come masserizie inerti in magazzini lerci, ingombri e disordinati, all'interno di un grande stanzone diviso da una semplice tenda dal letto matrimoniale dei propri genitori, che sfogano i loro istinti sessuali senza veli né filtri? Così, "Cafarnao" della regista libanese Nadine Labaki, distribuito dalla Lucky Red, è il rovescio della cavalcata delle Walkirie: uno stagno acquitrinoso e putrido in cui un'infanzia maltrattata e abbandonata cerca una via di salvezza quotidiana, spesso al di sotto della mera sopravvivenza, preda delle dure leggi dei vicoli malsani e infetti di una baraccopoli i cui abitanti sono solo fantasmi senza identità, clandestini da sfruttare in nero nei servizi e nelle mansioni più umili che gli autoctoni si rifiutano di svolgere.
Protagonista Zain, un bellissimo attore bambino prodigio e grande, piccolo eroe positivo che mantiene la linea di galleggiamento con la testa ben sollevata al di sopra della fanghiglia sulla quale poggiano i suoi piedini, capace di guardare al mondo degli adulti dimostrandosi ben più maturo di loro. Un vero guerriero che protegge dagli orchi la sua bellissima sorellina appena sbocciata alla maturità riproduttiva cercando in tutti i modi di occultarne i segnali equivocabili all'esterno, perché qualcuno (il padrone di un misero bazar presso cui i genitori lo obbligano a lavorare come schiavo, senza mai andare a scuola), le ha già messo gli occhi addosso e ha intenzione di chiederla in moglie benché appena undicenne! In fondo, la madre del futuro sposo maturo non era rimasta incinta di lui alla stessa età della piccola? E darla in sposa in cambio di qualche gallina e dell'affitto gratuito di un ambiente miserrimo in cui vive la famiglia di Zain non è, forse, il giusto prezzo per disfarsi di una bocca in più da sfamare? E, poi, pazienza se la piccina dovesse morire di parto senza ricovero in ospedale perché lei, come tutti i suoi fratelli e Zain, non sono mai stati registrati all'anagrafe, non disponendo i loro genitori dei 150$ necessari a pagare la tassa relativa.
Così Zain, nel frattempo fuggito di casa viene raccolto (per un atto straordinario della pietas che non abbandona i più disperati della terra) da Rahil, una giovane clandestina etiope madre del piccolo Yonas che affida a Zain per andare al lavoro, diverrà l'angelo vendicatore dell'infanzia violata accoltellando lo stupratore della sorella e finendo incarcerato malgrado la minore età. In prigione, Zain sconvolgerà la pubblica opinione intentando causa ai suoi genitori che l'hanno messo al mondo senza curarsi di lui. Dal processo, in cui tutto è vero, giudice compreso e adulti selezionati dal casting all'interno delle baraccopoli, un'intera umanità sofferente, infanzia inclusa, lancia un'accusa terribile contro la marginalità del loro terribile vissuto privo del necessario rispetto per la vita umana e la sacralità dell'infanzia. Il film è talmente impregnato del vissuto vero degli attori di strada da caricare la narrazione come un'onda sismica, ad alta capacità distruttiva delle nostre certezze e ipocrisie. Rahil verrà veramente arrestata nel corso delle riprese, come pure i genitori naturali di Yonas in quanto "sans papier". Il film è una denuncia cruenta dell'anonimia di chi cresce e nasce senza un'identità: così Mayssoun, bimba siriana randagia come Zain, vittima dei raggiri dei trafficanti di uomini, sogna la Svezia patria di ogni libertà.
Il film, sostiene in conferenza stampa la regista Nadine Labaki (accompagnata dalla sua bellissima famiglia!), si basa su di un copione (script) molto solido e strutturato che ha richiesto tre anni di ricerca. "Non volevo scrivere una storia di fantasia, e poiché non ho vissuto in prima persona quelle terribili privazioni ho ritenuto necessario in via preliminare procedere attraverso una ricerca approfondita sul campo per conoscere la realtà vera delle aree urbane più degradate e dei quartieri svantaggiati di Beirut.. Così, abbiamo parlato con tantissimi bambini e passato molte ore ad assistere ai processi nei tribunali.. Trattandosi di piccoli attori non professionisti che avevano in parte vissuto quel tipo di esperienza, si è cercato di dare risalto a quelle loro comunità costrette al silenzio. Nonostante la sceneggiatura meticolosa e improntata al rigore, le riprese sono state caratterizzate da grande improvvisazione e sono così emerse moltissime cose impreviste. In tal modo, la risultante del caos sistemico sempre presente nei conflitti di questa portata emerge in circostanze del tutto naturali, in quanto permea gli strati e i livelli più profondi della quotidianità. Zain è una specie di Messia che dà voce ai bambini senza voce. In altri termini, le varie scene sono il risultato di azioni spontanee e non di analisi condotte a tavolino".
"A mio avviso, il compito di un'artista è di individuare un problema emergente e di metterlo adeguatamente in luce senza stare lì a indicare possibili soluzioni che, invece, sono di pertinenza della politica e delle istituzioni. La situazione è davvero molto seria nel Libano, che accoglie all'incirca due milioni di rifugiati e deve vedersela con gravissimi problemi di ordine economico. Le soluzioni vanno ricercate in modo da evitare che il sistema assistenziale all'infanzia abbandonata e maltrattata fallisca la sua missione di equità e di universalità. Io questa terribile condizione l’ho umanizzata ed esposta con cruda chiarezza dandole il volto dei piccoli protagonisti. Sta ai sistemi socio-politici e ai governi trovare le soluzioni più opportune". Il film può quindi aiutare a creare una struttura di supporto all’infanzia in difficoltà? "Sì. La sua uscita ha favorito l'emergere su questi temi di un ampio dibattito che si amplificherà notevolmente una volta che "Cafarnao" verrà distribuito in molte centinaia di sale cinematografiche. La mia responsabilità è stata fin qui di far risaltare la drammaticità della situazione offrendo uno stimolo concreto per trovare soluzioni all'attuale stato penoso delle cose. Ho voluto proporre, in altri termini, una base di ragionamento per governo e autorità giudiziaria libanesi affinché qualcosa cambiasse nel nostro sistema".
"Su 520 h di girato si è arrivati a selezionarne 12 e poi, infine, con grande fatica, soltanto due per il film. Ma un effetto immediato la sua realizzazione l'ha già avuto: il piccolo protagonista, Zain, vive attualmente in Norvegia con tutta la sua famiglia e va a scuola come i suoi fratelli e sorelle. A lui e alla sua famiglia è stata concessa l'occasione di iniziare una vita nuova da un'altra parte. La piccola Jonas invece è tornata in Kenya con la madre e frequenta la scuola come tutti gli altri bambini protagonisti del film che, quindi, pur con tutti i suoi limiti, è davvero riuscito a cambiare qualcosa". Per quanto riguarda i matrimoni precoci di uomini maturi con bambine appena in età post puberale Nadin fa notare come "la piaga sia di proporzioni molto maggiori di quelle descritte dalle statistiche ufficiali: questi tipi di unione vengono considerati “normali” nella cultura locale, anche se in realtà si tratta solo di mere transazioni economiche, ovvero di un affare come un altro! Ma, del resto, i governi non ne vogliono sapere di rivelare la vera dimensione del problema nel timore di sollevare un enorme scandalo a livello internazionale. Come si svilupperà e su cosa ragionerà in futuro la mia cinematografia? Non saprei.. Seguo le mie idee che, quando arrivano, diventano presto una ossessione. Temi e spunti per un film mi giungono sempre in modo spontaneo e inaspettato".
Sul piano generale, "la responsabilità di un'artista è di mettere in luce problemi molto rilevanti utilizzando la potenza evocativa che un film ben fatto possiede. Ritengo che, avendo la fortuna di farmi sentire, la mia voce debba avere un impatto significativo sul mondo esterno, rispetto a quello che ci si trova a vivere in una regione tanto turbolenta di un mondo che sta diventando sempre di più caotico.. Conosco molti modelli cinematografici (il Neo Realismo italiano, il cinema iraniano che amo molto, Truffaut, etc.) ma per conto mio mi affido molto all’istinto. Nel film mi sono trovata a dover raccontare proprio in quel modo le cose che vedevo, abbandonando qualunque costruzione razionale aprioristica. In altre parole, è il film che si è imposto a noi come una creatura autonoma. Moltissime riprese sono state effettuate con la camera a spalla e c'è stato un grandissimo lavoro di casting per la selezione dei piccoli attori protagonisti".
Voto: 8,5
Maurizio Bonanni