
Corea del Sud. Il giovane Jongsu si imbatte in una ragazza, Haemi: si conoscono da quando erano bambini, ma si erano persi di vista. È l’inizio di un flirt?
Tratto da un racconto di relativo pregio scritto da Murakami Haruki, “BURNING - L’amore brucia” è un’opera intrigante perché avvolge lentamente lo spettatore in un’atmosfera ambigua, in cui la realtà diviene difficilmente decifrabile.
Difficile capire la vera natura del personaggio femminile: Haemi è sfuggente; si concede a Jongsu, che ne resta ammaliato, per poi assegnargli un compito quasi surreale (dar da mangiare a un gatto della cui esistenza si è portati a dubitare per buona parte del film); la fanciulla esce di scena, per poi tornarci, e… per non anticipare troppo, possiamo dire che l’intreccio si ammanterà di mistero.
Inesplicabile il ruolo svolto da Ben: la facoltosa nuova fiamma di Haemi sembra intromettersi nella relazione che potenzialmente poteva svilupparsi tra Jongsu e la ragazza; in cosa consiste il suo legame con la protagonista? E che dire del suo passatempo preferito, che dà il titolo al racconto?
Impenetrabile in fin dei conti lo stesso protagonista, le cui giornate solitarie paiono girare a vuoto.
Si respira un’aria di desolazione, di vacuità, di mancanza di senso (l’assenza è uno dei temi chiave del film), ma non di smarrimento, come se in fondo i personaggi fossero incapaci di provare turbamento: componenti assenti nel racconto, e frutto esclusivo della rilettura realizzata dal regista Lee Chang-dong. A tale proposito, è significativo rilevare come la sessualità (altro elemento che non compare nelle pagine di Murakami) contribuisce ad accentuare – almeno agli occhi dello spettatore – il grigiore della vita del protagonista: anche negli attimi in cui si procura piacere, egli sembra quasi inebetito da una parziale atarassia.
Interessanti l’idea del mimo, del mandarino immaginario sbucciato, della realtà alterata (non dobbiamo convincerci dell’esistenza di ciò che non esiste, ma possiamo dimenticarci che quella cosa non è reale); alla lontana, alcune suggestioni potrebbero ricordarci la partita di tennis di “Blow-up”, ma Lee Chang-dong punta soprattutto a sottolineare un altro dei motivi di fondo del film, e cioè l’impossibilità di comprendere ciò che avviene intorno a noi.
In un contesto in cui una visione netta sembra impossibile, non resta che abbandonarsi al flusso delle vicende. L’ultima parte del racconto è dedicata alla curiosità progressivamente insopprimibile suscitata in Jongsu dalla confessione di Ben: un’inquietudine espressa con efficacia dalla trasposizione in tutte le sequenze che ci mostrano l’errare del giovane, alla ricerca di una persona, di un bersaglio individuato da altri, di uno spunto narrativo, forse di un significato da dare al proprio essere vivo.
Affascinante, e di sicuro da vedere più di una volta, ma senza prefiggersi di venire a capo di enigmi che non possono essere sciolti.
Voto: 8
Andrea Salacone