No time to die
30/09/2021
di Cary Joji Fukunaga
con: Daniel Craig, Lea Seydoux, Rami Malek, Ralph Fiennes, Christoph Waltz, Ben Whishaw
Quando nel 2006 Daniel Craig fu chiamato a interpretare James Bond, non era l’ennesimo attore a rivestire i panni di 007: era l’inizio di una pentalogia (che comprende Casino Royale, Quantum of Solace, Skyfall, Spectre e quest’ultimo capitolo, No time to die) che avrebbe rilanciato e riscritto il personaggio e la sua saga. Ambientato in contemporanea all’epoca in cui si narravano le gesta, riportava Bond agli inizi della carriera e quindi per 15 anni lo accompagnava nella sua maturazione ed evoluzione, fino all’odierna pensione. Le relazioni con le “girls” non erano decorative, ma coinvolgevano i suoi sentimenti più profondi (e gli snodi narrativi), così come quelle coi vilains che di volta in volta incrociavano il suo cammino, in rapporti che non erano manicheisti ma ambigui. Il passato, suo e dei personaggi che lo circondano, ha risonanza; e se gli effetti esplosivi e le tecnologie di cui lo dota Q sono sempre più raffinati, di pari passo procede l’approfondimento psicologico.
Il passato è qui protagonista fin da prima dei titoli di testa, e nel corso della vicenda Bond dovrà affrontare i demoni propri e di chi gli sta vicino, ma anche il futuro, messo in faccia al nuovo passo dei tempi e a scoperte sconvolgenti. Raccontare il film è impossibile, per la quantità di colpi di scena che farebbero gridare allo spoiler. Basti dire che viene trafugata un’arma letale (un virus “a target”: circostanza che ha dell’ironico, visto che il film ha visto la propria uscita rimandata di 18 mesi a causa di un virus…) e che Bond viene chiamato a intervenire dalla CIA, in concorrenza coi sevizi segreti britannici.
Da cinefili, ci piace osservare il cattivo, vittima in cerca di vendetta con deliri di onnipotenza, dal volto sfregiato e che indossa una maschera, che sembra scritto per un film di Fritz Lang. Del resto il tema del doppio e del tradimento è costante in tutta la pellicola, sia nei toni tragici, che in quelli di commedia (il doppio 007…). Un film che chiude un cerchio e tira le somme, e la canzone finale –“ We have all the time in the world” di Armstrong, tratta da “007 al servizio di Sua Maestà”- lo sottolinea perfettamente.
Voto: 7,5
Elena Aguzzi