
Già dal titolo si può comprendere che l’intenzione sia quella di mettere un marchio di riconoscimento sulla saga che sta per nascere. Quell’articolo “The” sembra voler porre una lente di ingrandimento su questo nuovo universo cinematografico del personaggio creato da Bob Kane alla fine degli anni Trenta. Ormai raccontato in ogni modo possibile, l’eroe di Gotham City sembra non riuscire a togliersi di dosso la rivoluzione che vari autori fumettistici del calibro di Alan Moore e Frank Miller hanno portato avanti negli anni Ottanta. Rimosso ogni aspetto caricaturale, l’uomo-pipistrello si è trovato al centro di un rinnovamento più “adulto”, crudo e inquieto; in un universo malvagio, corrotto e sporco; figlio di un’epoca in cui i fumettisti erano ancora alla ricerca di un’approvazione autoriale dal mondo dell’intrattenimento e della letteratura. È sicuramente da qui che il film di Matt Reeves prende spunto, ma non solo. La pellicola è molto derivativa (fin troppo) del film “Joker” di Todd Philips (2019) e solo in parte della celeberrima trilogia di Nolan – che ha avuto il merito di aver portato l’introspezione e la cupezza dell’universo di Batman sul grande schermo.
In una Gotham perennemente plumbea e fatiscente, Bruce Wayne è un giovane solitario, tormentato e silenzioso, che affida i suoi pensieri a un diario su cui annota le proprie riflessioni (elemento che ci viene presentato e che poi non verrà mai più ripreso). A ridosso delle elezioni a sindaco della città, il primo cittadino uscente viene assassinato con estrema violenza. Sul luogo del crimine viene trovato un indovinello indirizzato a Batman, che ha un unico alleato nella corrotta polizia locale: il tenente (futuro commissario) Gordon. Da qui parte l’investigazione dei due (o meglio, di Batman; Gordon si limita ad annuire stupefatto) nell’intento di evitare la morte di altri illustri personaggi pubblici della città.
L’ambientazione è fondamentale per l’opera. Gotham non ha spazio per il sole, né per la luce. La pioggia continua ricorda il mondo di “Blade Runner”; mentre l’aspetto prettamente noir del film, che si dipana in una detective story all’interno della follia truce di un individuo con uno scopo che va oltre sé stesso, riporta alla mente “Seven”. Tuttavia, la fotografia non aiuta l’occhio a seguire la storia. L’intera vicenda è permeata da un buio eccessivo, anche in luoghi o frangenti in cui non ce ne è bisogno, tanto da condizionare la visione di alcune scene. L’oscurità è accompagnata da una mancanza di saturazione molto forte, che riduce la presenza di qualsiasi chiaroscuro o gioco di luci interessante in grado di delineare le varie psicologie in gioco. Persino l’ospedale ha le pareti scure. Tuttavia, non è solo la luce ad essere problematica. Il film annulla ogni profondità di campo, pur avendo svariate inquadrature che si aprono su larghe vedute. Al di là dei personaggi al centro del dialogo o dell’azione, nulla è messo a fuoco. La colonna sonora segue questa filosofia in pieno. Intensa ed emotivamente suggestiva ma unicamente trasposta con suoni gravi. Al netto di qualche scena interessante – e di qualche altra idea palesemente riciclata dai capitoli cinematografici che furono – l’opera di Reeves non brilla neppure dal punto di vista registico. Questo è particolarmente vero per le scene d’azione, che in alcuni momenti fanno perdere la cognizione della posizione degli oggetti e dei personaggi nello spazio, e per alcune soggettive tremendamente confusionarie. Per il resto, la telecamera si limita a mostrare ciò che è necessario vedere. Discutibili anche alcuni elementi di messa in scena il cui giudizio può essere rimandato al gusto personale dello spettatore (come, ad esempio, la casa di Bruce Wayne più simile al castello di Hogwarts che alla villa di un miliardario).
È amaro constatare che questa monotonia nello stile si lega perfettamente alla caratterizzazione dei personaggi. I piani degli antagonisti; le speranze dei protagonisti; le interazioni: tutto è interamente lasciato alla mercé di monologhi e dialoghi, i quali finiscono per sembrare dei semplici “spiegoni”. Conseguentemente, la digeribilità del tutto viene compromessa. Al di là di un paio di figure secondarie rilevanti, i personaggi di contorno vengono totalmente abbandonati a loro stessi, mai approfonditi, fatti emergere alla bisogna come un pupazzo da un giocattolo caricato a molla. Il Pinguino (Colin Farrell, irriconoscibile grazie all’ottimo trucco) non è ancora il criminale potente che conosciamo tutti, ma nulla nel film ci fa presagire che possa essere pericoloso o quanto meno degno di rispetto. Il vero villain del film, il boss della mafia Carmine Falcone (un ottimo John Turturro), non agisce mai. La sua cattiveria è lasciata ai dialoghi degli altri e ai racconti di episodi passati. Sta di fatto che questa cattiveria non la vediamo mai davvero. Catwoman (Zoë Kravitz) ha il merito di inserire un inusuale e minimo accenno di erotismo, controbilanciato da una delinazione del personaggio che la vede semplicemente come vittima degli eventi. Al contrario, l’istrionica interpretazione di Paul Dano de L’Enigmista ci lascia intendere una cosa: nell’universo di Batman è molto difficile costruire un antagonista che non ricalchi la struttura del Joker. E Batman? L’eroe in costume ingloba la scena, lasciando zero spazio per l’evoluzione di Bruce Wayne, il quale inizia il film come un giovane isolato e dilaniato dal passato e lo conclude allo stesso identico modo. A tratti la pellicola toglie a Batman persino quei tratti di epicità che potrebbero rendere il film intrattenente. “Io sono l’ombra”, dice il cavaliere oscuro all’inizio. Eppure, non lo si vede mai sfruttare il buio per raggiungere uno scopo. Molto spesso anzi si impone unicamente con la propria presenza. L’unica differenza è che nel corso del film il Nostro impara a relativizzare i membri idealizzati della propria famiglia, ma questo non si riflette minimamente nell’apparato visivo o narrativo. Non bastano dei capelli spettinati in stile emo-punk anni 2000 per rendere un personaggio interessante. Robert Pattinson, attore incredibile, ci prova in ogni modo e fa anche un lavoro stimabile.
Il percorso narrativo soffre l’eccessiva lunghezza, che ormai sembra inevitabile per dei progetti come questi (paradossale, se si pensa che solitamente il pubblico mal sopporta i film lunghi). Tre ore non possono minimamente giustificare una storia e uno svolgimento del genere. “The Batman”, infatti, indugia moltissimo, soprattutto nel finale. Si sussegue una potenziale conclusione dopo l’altra, diminuendo l’efficacia del risultato totale. L’aspetto contenutistico del film è affidato all’approccio politico che la DC sembra stare intraprendendo in seguito all’enorme successo del Joker di Joaquin Phoenix. In questi mondi non sembra esserci spazio per la malvagità, a meno che non vesta uno smoking e non vada in giro in limousine. I cattivi sono degli incompresi, che agiscono spinti dai traumi ingiusti che hanno subìto in vita. E nella loro vendetta personale trovano un appoggio da parte di altri emarginati. Ogni logica di conflitto è relegata a uno scontro tra invisibili e potenti, in una non meglio precisata lotta di classe, prosciugata però di ogni riflessione degna di nota. Si potrebbe obiettare che non sia questo il compito di un cinecomic. Verissimo, ma nessuno obbliga gli autori del film a intraprendere tale strada. L’aspetto politico del film si contorce attorno a una Gotham interamente corrotta, ma che riserva la propria speranza nelle rappresentazioni di una nuova generazione di americani, per lo più di colore e giovani. Intento nobile, ma che sfocia nel superfluo quando annulla qualsiasi altro tipo di scrittura o approfondimento. Non è certo un caso che ultimamente la figura di Thomas Wayne (padre di Bruce) sia molto più presente, ma sempre in chiave negativa.
L’opera di Reeves ha di certo il pregio di focalizzarsi molto sulla parte più intellettuale dell’uomo-pipistrello, proponendone una versione noir e investigativa. Inoltre, è ammirevole il tentativo di lasciare un marchio che esuli dal solito contesto delle pellicole derivate dai fumetti. Tuttavia, l’immenso entusiasmo generato nell’opinione del pubblico trova, per il sottoscritto, poco riscontro. Figlio di una voglia di vedere un film “adulto” a tutti i costi. Stiamo, però, pur sempre parlando di un uomo che si veste da nottola per pestare dei criminali.
Voto: 5
Edoardo Cappelli

No more lies, basta bugie. Questo il monito in una Gotham avveniristica, città in cui The Batman indossa, ancora una volta, la maschera e il mantello da pipistrello per sovvertire i poteri forti, svelare soprusi e condannare la criminalità.
Scritto, diretto e prodotto da Matt Reeves, The Batman è l’ennesima trasposizione cinematografica dell’universo DC, la conformazione dark di un supereroe più umano che mai, la sconfitta delle proprie debolezze attraverso occhi penetranti e una mascella che, sotto il costume, tratteggia una somatica molto vicina alla descrizione fumettistica.
Forse opera prima di una probabile trilogia (avvalorata dal crossover del Joker), la pellicola si staglia come remake di capolavori che hanno visto dietro la macchina da presa l’arte di maestri del calibro di Tim Burton, Joel Schumacher e Christopher Nolan, splendidi e visionari direttori d’orchestra che, a seconda delle epoche, hanno caratterizzato/caricaturizzato il personaggio in base alle richieste del botteghino.
The Batman, invece, sembra ammiccare piacevolmente alla critica, e l’interpretazione del giovane Robert Pattinson è distante dai cliché portati sul grande schermo dai vari Michael Keaton, Val Kilmer, George Clooney e Ben Affleck, ma si avvicina a Christian Bale per l’introspezione ed il peso di un passato scomodo, accarezza la verità con la diabolica e, al tempo stesso, sacra voglia di vendetta, quello stesso sentimento che ha animato il rapporto fra Carmine Falcone (John Turturro) e la famiglia Wayne.
Batman non agisce nell’ombra, è l’ombra, lascia orme di pace che una bellissima Catwoman (Zoë Kravitz) segue con spirito indipendente, la gatta ed il pipistrello destinati a dividersi ma a ricongiungersi contro il nemico Enigmista (Paul Dano) o il Pinguino (un irriconoscibile Colin Farrell).
Le musiche di Michael Giacchino e le inconfondibili note dei Nirvana conferiscono al plot un aspetto da noir, con una sceneggiatura improntata all’investigazione, Batman vive radicato nella quotidianità e nell’idea, salvifica e cristiana, dell’uomo solo che si sacrifica per l’umanità, invocato da un segnale nel cielo del tenente Gordon (Jeffrey Wright), la consapevolezza che a trionfare sarà sempre la Giustizia.
Voto: 8
Michele Di Corato