“Il Signore delle formiche” è il nuovo film di Gianni Amelio in concorso a Venezia 79’. Il regista dopo aver raccontato gli ultimi giorni del politico Bettino Craxi con uno strepitoso PierFrancesco Favino in ''Hammamet'', affronta il cocente caso Braibanti, realizzando un’opera poetica di denuncia coerente con tutto il suo cinema, fatto di silenzi, di sguardi, atmosfere, incontri di persone sempre in bilico fra bene e male.
Protagonisti sono un emozionante ed intenso Luigi Lo Cascio, uno straordinario Elio Germano e, per la prima volta sullo schermo, un bravissimo e lancinante Leonardo Maltese in un ruolo complesso e coraggioso per un attore al suo debutto al cinema.
Luigi Lo Cascio dona anima e corpo all’intellettuale, poeta, drammaturgo ed ex partigiano Aldo Braibanti processato alla fine degli anni Sessanta e condannato a nove anni di reclusione per l’accusa di plagio nei confronti di un ragazzo, suo compagno ed ex allievo, al quale andò decisamente peggio, poiché subì elettroshock distruttivi della sua personalità.
Elio Germano interpreta il giornalista dell’Unità che si occupò con determinazione e tenacia del caso; intensa l’interpretazione di Valerio Binasco nel ruolo dell’odioso avvocato dell’accusa.
In quest’opera, come in tutto il suo cinema, Amelio dimostra che ama visceralmente tutti i suoi personaggi ed interpreti che non deludono le sue aspettative.
Assolutamente da vedere.
Voto: 8
Ettore Calvello
Le formiche sono forti, numerose e solidali. E per questo destinate a sopravvivere anche a un eventuale olocausto nucleare, al contrario della specie umana. In “Il Signore delle formiche”, per la regia di Gianni Amelio, con attori protagonisti Luigi Lo Cascio (Aldo Braibanti), Elio Germano (Ennio) e Leonardo Maltese (uno straordinario Ettore, allievo-amante del Prof. Braibanti), il filo conduttore raccorda l’omosessualità al reato di plagio, inteso quest’ultimo come riduzione di una persona allo stato di completo assoggettamento a un’altra. Solo in seguito, con sentenza del 1981, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo e ha escluso dall’ordinamento l’articolo 603 del Codice Penale relativo al plagio. Nemmeno il fascismo allora osò inserire come fattispecie penale l’omosessualità, altrimenti, un regime “macho” come il suo avrebbe dovuto ammettere che l’uomo italiano non era poi così puro e “integro”, come fa notare Ennio (Elio Germano, perfetto nella parte), il giornalista de L’Unità, che segue per il suo giornale il processo Braibanti con un occhio dall’esterno, profondo, sensibile e disincantato, il vero e proprio “Doppio” di Amelio stesso. Il film racconta di un fatto realmente accaduto negli anni 60, noto appunto come “Il caso Braibanti”, in merito a un rapporto discente-maestro andato ben oltre i canoni tradizionali dell’infatuamento intellettuale tra un adulto carismatico e il suo allievo di sicuro talento.
Aldo Braibanti è “Il Signore delle formiche” perché le colleziona in teche trasparenti e ne studia per passione i comportamenti sociali, come il prodigio dell’accoppiamento della regina con più maschi, dei quali conserva tutti i diversi spermatozoi per un’unica finale fecondazione collettiva, dopo aver perduto le sue ali. Così come Ettore ricorda allo stupito professore, dopo avergli fatto il grande regalo di una formica speciale, come i membri del formicaio hanno un “doppio stomaco”: uno individuale e l’altro solidale, per nutrire qualche compagno in difficoltà. Un bel parallelismo critico, quest’ultimo, rispetto alla dissociazione e al distanziamento con il caso Braibanti che assumerà ufficialmente lo stesso Pci che di fatto disconoscerà l’appartenenza del professore incriminato per plagio alla sua storia politica del secondo dopoguerra. L’omosessualità nella storia di Amelio è un filo teso sospeso sui tetti delle case di un piccolo centro romagnolo, su cui si muovono in equilibrio assolutamente precario Aldo ed Ettore. Sulla piazza sottostante allo spettacolo circense sono radunati in qualità di osservatori indignati tutti i gruppi scultorei maggiormente rappresentativi della società, come la Famiglia in primis, la politica, la società, la magistratura, la sanità pubblica e i media. Tutti fattori ad altissimo rischio di pregiudizio, quelli citati, per viltà e stupidità. Il solo controcanto e contrappeso vivente a questo pubblico ostile è rappresentato da una madre molto pasoliniana, che difende il buon nome di Aldo attraverso il suo grande dolore silenzioso, donando a suo figlio un conforto affettivo fondamentale, senza riserve mentali.
Naturalmente, a impugnare il timone per il primo giro di quel torchio che stritola le vite diverse è la stretta cerchia familiare ossessionata dallo scandalo, madre e fratello di Ettore, in particolare. E sono proprio i consanguinei a rapire il corpo di Ettore depositandolo come carne spenta nel circuito infernale degli ospedali psichiatrici e dei ripetuti trattamenti di elettroshock, per un percorso psicosanitario verso la “normalità”. In precedenza, Ettore era stato attratto, come farebbe una leggera fibra metallica che vibra nell’aria, dal forte magnete intellettuale di un Braibanti dissacratore, vero prestigiatore tirannico che sapeva giocare magistralmente tra regia del teatro d’avanguardia, letteratura, poesia e arte. I suoi allievi, ospitati in un vecchio casale di campagna, riadattato a una sorta di “cultural farm”, erano come fronde di un albero tutt’attorno al suo grande tronco che nessuna tempesta riusciva a scuotere, al contrario delle sue appendici giovani e insicure. Ad Aldo, bastava distribuire un libro da leggere perché i suoi contenuti funzionassero come una tunica rituale di iniziazione, che il suo allievo prediletto avrebbe dovuto indossare, per poi intonare una danza dei versi, da leggere labbra nelle labbra, vis-à-vis, come avviene nelle inquadrature più empatiche girate da Amelio.
Ma la gente, la società tutta parla e il “vizietto” di Aldo fa il giro del paese per poi finire tra le carte della questura e della procura, fino a divenire un caso nazionale. I testimoni non mancano e gli atti impuri nemmeno. Così viene imbastito il ben noto processo Braibanti, in cui il professore fu condannato per plagio a nove anni di reclusione in primo grado e in appello, poi ridotti a due effettivi considerato il suo passato di eroe partigiano. E, tenuto conto che lo stesso professore incriminato e poi condannato era stato dirigente del Pci, come si comportarono allora i suoi compagni di Partito? Semplice: censurando le cronache lungimiranti e brillantemente critiche di Ennio, che per questo ne farà una malattia per non essere riuscito a convincere né il suo direttore, né i suoi lettori che lo scandalo, semmai, andava rovesciato, accusando esplicitamente di omofobia l’intera società e gli apparati serventi della giustizia e della sanità. Troppo presto per lui aver giocato un ruolo d’avanguardia, con il solo sostegno della bellissima cugina, vera compagna dal forte carattere, che aveva come suo “pendant” e alter ego il fidanzato dell’epoca, un avvocato calabrese, mentalmente schierato dalla parte degli scandalizzati e del tribunale che aveva condannato per plagio Braibanti. Il quale, dapprima non risponde a nessuna delle contestazioni, né alla richiesta di testimonianza del Presidente del tribunale, della pubblica accusa, degli avvocati difensori e di quelli delle parti civili, per poi ricredersi dopo un colloquio in carcere con Ennio, l’unico ad aver veramente capito gli elementi del problema. Per dire in pubblico dibattimento che non c’era perversione ma vero amore con poco sesso tra lui e Ettore che, a sua volta, malgrado fosse devastato come uno zombie vivente dagli effetti dell’elettroshock, aveva reso una testimonianza drammatica e vivissima sul rapporto con il suo mentore, amico e amante.
Film, in sintesi, molto colto, discreto ed emozionante, anche per chi la pensi diversamente a proposito di omofilia.
Voto: 7
Maurizio Bonanni