Milk

21/01/2009

di Gus Van Sant
con: Sean Penn, James Franco, Josh Brolin, Emil Hirsh, Diego Luna

Negli anni '70 essere omosessuale, anche a S.Francisco, era un problema. Ne sa qualcosa Harvey Milk, assicuratore 40enne che col compagno si trasferisce nel quartiere di Castro, vivacizzandolo e contribuendo a renderlo il quartiere “dei gay”. Il movimento spontaneo diviene movimento politico e otto anni dopo Milk diviene consigliere comunale e, assieme al sindaco, George Moscone, riesce a far riconoscere in tutta la California i diritti civili dei gay: finiranno assassinati.
Trent'anni dopo, in un clima politico interno dove i cambiamenti convivono con la repressione, il regista (gay) Gus van Sant ha sentito il bisogno di raccontare questa storia, per chi non c'era o chi non ha memoria, per omaggiare quest'uomo trascinante e coraggioso e spezzare una lancia a favore di una categoria ancora emarginata. Per il risultato ottenuto la critica ha già inneggiato al capolavoro e forse un segno che la lotta di Milk non è stata vana potrebbe essere il riconoscimento dell'Academy Award almeno allo straordinario interprete, Sean Penn, se non addirittura al film o al regista.
Noi, pur avendolo apprezzato, siamo un po' più restii ad innalzare elogi sperticati. Infatti, curiosamente, i punti di forza di questo film sembrano essere anche i suoi elementi di debolezza.
Intanto, è un film militante. Il che lo rende sicuramente necessario e sincero, e non una di quelle pellicole che sfruttano il tema gay come uno specchietto per le allodole; tuttavia, lo rende anche meno universale, ma interessante solo per chi è direttamente coinvolto col problema – senza contare il rischio (costante nei film a tesi, e a cui “Milk” non sfugge) di (s)cadere nell'agiografico e nel predicatorio.
La ricostruzione d'epoca e atmosfera, dai costumi alla grana della fotografia, dagli ambienti allo stile cinematografico, è perfetta; ma così il film resta anche intrappolato nei cliché del biopic, con tanto di pantaloni a zampa d'elefante e fotografie originali per mostrare le somiglianze tra personaggi e interpreti, nonché l'inserimento di spezzoni documentari che si mescolano con la finzione.
L'interpretazione di Sean Penn, poi. Ogni elogio è insufficiente. E non si tratta di semplice, seppur magistrale, mimetismo fisico, nei gesti, nelle espressioni del viso, nella voce (esiste una versione originale sottotitolata: non perdetela!), ma di profonda sensibilità attoriale e intima aderenza alle lotte del personaggio, come se l'attore vestisse il corpo di Milk e ne sentisse ogni vibrazione. Eppure, in questo modo, Penn rischia di sovrastare tutto il resto (trama, colleghi, regia, persino messaggio), di diventare il vero autore del film e non solo la prima, ma fors'anche la sola ragione per andare a vederlo.
Infine la regia. Gus Van Sant ha una personalità cinematografica spiccata e indubbiamente geniale, che però spesso arriva al limite (e a volte oltre) del manierismo. Qui, pur lasciando chiaramente un'impronta personale, specie nella prima parte, si mette al servizio della storia e del suo intento divulgativo, lasciando da parte gli sperimentalismi; ma lo fa anche troppo, scivolando, man mano che il film procede, nella convenzionalità e nella melensaggine. Mai ci saremmo aspettati dal sobrio regista di “Elephant”, che Milk andasse all'Opera (all'Opera!), facesse poi una telefonata strappalacrime (l'ultima, ovviamente) all'ex amante e morisse guardando il cartellone di Tosca: e, udite udite, Van Sant ci ripropone pure in flash back un dialogo in cui il poveretto prevedeva di non arrivare ai 50 anni! Per fortuna c'è sempre lo sguardo di Penn morente che fa il paio con quello di Brando in “Ultimo tango a Parigi” e c'è, prima, l'inesorabile camminata di Josh Brolin- Dan White verso il compimento del destino. E alla fine il personaggio più vero e complesso risulta essere proprio il suo: onore a Brolin e al regista per aver reso commovente, in un film intitolato a Milk, la figura del suo assassino.

Voto: 7,5

Elena Aguzzi