Defiance

21/01/2009

di Edward Zwick
con: Daniel Craig, Liev Schreiber, Jamie Bell

Per una curiosa coincidenza di anteprime, ci è capitato di vedere “Defiance” subito dopo “Milk”, e il paragone, sebbene improprio, ci viene spontaneo. In entrambi i casi, infatti, ci viene narrata una storia vera, ma che ha i tratti dell'incredibile e ci parla di quotidiano eroismo. Lì però abbiamo a che fare con un regista indipendente che cerca di sdoganare  a Hollywood una materia incandescente, qui invece ci troviamo davanti al “buon vecchio cinema hollywoodiano” al 100%, per mano di un regista (L'ultimo samurai, Blood Diamond) che ha l'innata vocazione per la spettacolarizzazione dell'impegno. Entrambi a loro modo onesti, per diverse strade han saputo tenerci incollati alla poltrona per oltre due ore.
Quali sono “i giorni del coraggio” del sottotitolo italiano di cui ci narra “Defiance”? Sono i tre anni passati nei boschi a sfuggire ai nazisti da parte di un gruppo (1.200, alla fine) di ebrei bielorussi messi in salvo da quattro fratelli, che cominciano a nascondersi per conto proprio e alla fine organizzano una vera e propria comunità silvana. I loro nomi, doverosamente citati e fotografati, sono Tuvia, Zus, Asael e Aron Bielski e la loro “Brigata Bielski” potrebbe anche essere chiamata la “Bielski's list”, per citare un regista affine a Zwick.
Alla lotta per la sopravvivenza si aggiungono, per rendere più pepata la storia, i conflitti interpersonali. Infatti i fratelli maggiori (Tuvia e Zus) si ritrovano, quando la notizia della loro resistenza diviene quasi una leggenda, a dover gestire il potere e c'è chi sceglie la carta di fuggire e nascondersi e reprimere ogni problema, chi è pronto ad unirsi all'armata rossa e usare metodi di resistenza un po' più terroristici. In mezzo, c'è il fratellino dapprima incantato da Tuvia ma che man mano prende in mano le redini della situazione ( a film concluso, una didascalia ci indicherà la sua scelta di vita, anzi di morte). E se i siparietti sulla cultura ebraica o la descrizione della costruzione del villaggio o infine l'emozionante fuga dagli aerei tedeschi che bombardano il bosco, hanno quel tono giustamente in bilico tra il quotidiano e l'epico, da romanzo ottocentesco, la carta vincente sta sicuramente nella descrizione del rapporto di amore e rivalità tra  fratelli. Insomma, non manca la retorica e il gusto per lo spettacolo popolare, ma la fotografia e l'ambientazione sono altamente suggestive e l'insieme avvincente, anche grazie a un bel cast di non divi (a parte Craig che purtroppo sta cominciando a farsi conoscere dal grande pubblico come James Bond).
Il citato Daniel Craig, pur avendo messo da parte la gamma espressiva di inizio carriera per rifugiarsi in un assorto cipiglio da bel tenebroso, ha il giusto carisma e il giusto tormento per il suo Tuvia, capo suo malgrado che sente l'ebrezza e la responsabilità del potere. Liev Schrieber (che ha realmente origine ebreo russe – sua la regia del bellissimo “Ogni cosa è illuminata”) aderisce con passione al controverso personaggio di Zus, mentre Jamie Bell (l'ex bimbo prodigio di “Billy Elliot”) è perfetto nel ruolo del ragazzo che diventa uomo

Voto: 7

Elena Aguzzi