
In assenza della lettura di Choke di Chuck Palahniuk, la visione del film si è proiettata su un terreno vergine da paragoni col libro, fruibile in se stessa con pregi e limiti, questi ultimi legati soprattutto a un impianto cinematografico che ha risentito di essere l’opera prima del regista, da un montaggio a volte inadeguato al ritmo, alla qualità delle riprese, ai dialoghi spesso in bilico tra la dovuta ironia e il cattivo gusto, al mancato approfondimento di alcuni personaggi, la svitata dottoressa Marshall a esempio.
Premesso questo, il divertimento è assicurato e arrivati alla fine troviamo anche di che riflettere.
Il sessodipendente Victor, che è stato un bambino un po’ imbranatello, cresciuto senza un padre e in balia di una madre – la schizzata Anjelica Huston – che non si può dire gli abbia fatto trascorrere un’infanzia propriamente felice, si ritrova a trent’anni a vivere in una condizione illusoria: lavora come figurante in un parco turistico dove vengono rappresentate le usanze di una comunità del XVIII secolo; dalla situazione anacronistica del posto di lavoro è catapultato quotidianamente nella clinica in cui è ricoverata la madre, malata di Alzheimer, che lo scambia ogni volta con una persona diversa. L’essere fuori dal tempo lo proietta di continuo in quel mondo infantile segnato dalle invenzioni materne, dal quale non si è mai emancipato: ecco allora che ricorre alla finzione del soffocamento per avere attenzione e cure dagli altri, proprio come fanno i bambini, anche se poi approfitta dei salvatori di turno dal punto di vista economico.
Questa ricerca e assenza di amore si traduce in una ossessione del sesso che soddisfa frequentando riunioni di sessuomani anonimi, dove incontra donne disponibili a condividerla.
Uno spiraglio è offerto forse dall’incontro con la dottoressa Marshall, altro personaggio folle, che, invaghita di Victor, finge di decifrare il diario della madre, rivelandogli, per soddisfarne il bisogno di conoscere il suo oscuro passato – chi è suo padre? – una discendenza divina. Ma con la dottoressa Victor non riesce a fare l’amore, schiavo delle modalità sessuali che lo hanno condizionato.
L’amico Denny invece, suo compagno di lavoro e pure lui con disturbi sessuali, sorprendentemente riesce a guarire dall’onanismo che lo perseguita e si avvia a una tranquilla vita sentimentale con una ex spogliarellista: caratterizzati entrambi in modo molto simpatico e puntuale, forse gli unici, a parte le divertenti macchiette che si aggirano nel parco storico, a far sfociare le loro parti decisamente nei toni della commedia. Perché Victor invece, man mano che la visione procede, assume sempre di più una veste tragica e tende a scivolare nel nulla atemporale che segna la sua vita al limite del sesso, dell’amore, della stessa sopravvivenza.
Molto bravo l’attore Sam Rockell, analizzato costantemente da primi piani, che sa dare al personaggio umanità e credibilità e non strappa solo risate nel coinvolgerci nelle stralunate avventure di Victor. Il finale infatti è drammatico: la certezza che per lo meno la madre sia quella vera, viene con leggerezza smentita dalla stessa, che gli rivela di averlo rapito da una carrozzina………..Ma sarà così?
Insomma una commedia nera, tragicomica, che spazia dall’assoluta stupidità al dramma, ispirata ai film di Hal Ashby e sostenuta da una gradevole colonna sonora con brani dei Radiohead.
Tenendo conto che il regista è alle prime armi – la messa in scena a volte lascia a desiderare – il risultato raggiunto è accettabile.
Buona fortuna debole, ingegnoso e coraggioso ragazzo!
Voto: 6,5
Maria Rispoli