La Battaglia dei Tre Regni

22/10/2009

di John Woo
con: Tony Leung, Takeshi Kaneshiro, Zhang Fengyi, Chang Chen, Zhao Wei, Chiling Lin

Qualcuno teme forse che 280 minuti di battaglie sontuose, grandiose, splendide possano tediare lo spettatore? Evidentemente sì se questa è la ragione per cui Red Cliff di John Woo è uscito per il mercato asiatico diviso in due parti e per il mercato europeo e americano (e quindi anche quello italiano dove il film è distribuito col titolo “La battaglia dei tre Regni”) in una versione ridotta (anzi, praticamente dimezzata) a soli 148 minuti. Timore assolutamente infondato perché un film epico vive dei suoi tempi dilatati e dei suoi ritmi solenni, del totale coinvolgimento nel suo fragore e nella sua spettacolarità. Le due ore e mezza di “La Battaglia dei tre Regni” scorrono talmente rapide che nemmeno ce ne rendiamo conto, abbagliati come siamo dai suoi colori e i suoi piani strategici, i suoi schieramenti tattici e le sue trepidanti attese, le sue piogge di frecce e di fuoco, le cavalcate e gli avanzamenti navali, e la bellezza di ogni singola inquadratura, dai volti degli interpreti, icone del Cinema Asiatico, all’assoluta perfezione pittorica delle scene di massa. E se questa versione ferocemente ridotta sacrifica proprio le pause della battaglia e l’introspezione psicologica dei protagonisti (a questo proposito vi rimandiamo alla visione integrale in DVD, assolutamente doverosa, e al nostro relativo approfondimento) non può tuttavia cancellare l’impressione di trovarci di fronte ad un capolavoro.
Siamo nella Cina del 208 d.C. e alla celebre battaglia di Red Cliff che cambiò il corso della Storia cinese e che fu immortalata in “Il Romanzo dei Tre Regni”, ancora oggi oggetto di culto tanto da ispirare di continuo manga e videogame. In opposizione all’esercito di ottocentomila soldati e duemila navi del primo ministro Cao Cao, che manovra l’Imperatore come un pupazzo col proposito di eliminare i regni del Sud ed insediarsi egli stesso come imperatore di una Cina unificata, i Reami di Liu Bei e di Sun Quan uniscono le loro forze in una disperata alleanza. In quest’impresa si stagliano due figure leggendarie che rappresentano le due immagini complementari dell’eroe: il meditativo consigliere Zhuge Liang, che spia i respiri della Natura e ne legge e interpreta i movimenti e le forme per farne un’arma tattica, e il romantico e tormentato Vicerè combattente Zhou Yu, cantato non solo nel Romanzo dei Tre Regni ma in celebri poesie. I due hanno rispettivamente i volti carismatici di Takeshi Kaneshiro e di Tony Leung, emblema stesso del Cinema Orientale, protagonista preferito di Wong Kar-Wai, eroe per Zhang Yimou, ambiguo amante per Ang Lee, già caro a John Woo (si pensi allo splendido “Bullet in The Head”), l’alchimia tra i quali si è potuta ammirare nel poliziesco “Confession of Pain” di Andrew Lau e Alan Mak.
In bilico tra il ricondursi alla realtà storica e il seguire il romanzo, scritto nel quattordicesimo secolo da Luo Guanzhong distorcendo molti episodi per renderli di maggior effetto e facendo loro assumere proporzioni leggendarie (Zhuge Liang appare nel libro come dotato di poteri magici per alterare le condizioni climatiche, quando era un contadino reclutato come stratega per la sua conoscenza dell’astrologia e capacità di fare previsioni meteorologiche e Zhou Yu è descritto come torbidamente geloso dei suoi poteri), il regista si è rifatto principalmente alle testimonianze storiche senza tuttavia deludere gli appassionati conservando le pagine più affascinanti come l’astuto stratagemma per impossessarsi delle frecce.
Dopo la lunga parentesi americana John Woo torna quindi in Oriente con ritrovato vigore e questo suo Kolossal (il più costoso mai prodotto in lingua cinese per un budget di 80 milioni di dollari, tutti ben spesi ci sentiamo di aggiungere) recupera gli elementi cardine del suo Cinema delle origini, con il respiro solenne dei grandi paesaggi e delle grandi imprese (la Natura stessa è uno dei protagonisti e gioca il suo ruolo nella battaglia decisiva). Passa dalla sospensione delle attese a cieli di fuoco o oscurati da frecce e più che all’estetizzante wuxia di Zhang Yimou si avvicina alla grandiosità epica di Kurosawa.
E come la figura dell’Eroe nei primi gangster movie era legata ad un tragico destino di dannazione mentre qui trionfa, esemplare, esaltata dai suoi leggendari contorni, così anche l’amicizia virile che in “Bullet in the Head” si disgrega nel tradimento e nella perdizione, scatenati dall’orrore della guerra, qui viene cementificata ed innalzata dalla guerra stessa. Risultano tuttavia vivide anche alcune figure femminili, non solo complementari alla vicenda: la ribelle Sun Shanxiang che si insinua come spia tra le linee nemiche e vuole combattere come un uomo, e Xiao Qiao, la bella moglie del Vicerè, che sapendo di essere il punto debole di Cao Cao si adopera per distrarlo prima dell’attacco finale.
Ma John Woo non è dimentico neppure della lezione occidentale e il fragore delle sue battaglie risuona anche di echi dell’antica Grecia e delle solenni cavalcate western. L’esercito arroccato a Red Cliff fa pensare alla difesa di Fort Alamo, ma dove il Cinema Western canta l’elegia della sconfitta, John Woo torna a celebrare l’eroismo che ha fede nella missione impossibile.

Voto: 8

Gabriella Aguzzi