Hachiko

05/01/2010

di Lasse Hallstrom
con: Richard Gere, Joan Allen

Era inevitabile che la vera storia di Hachiko, cane fedele che attese per anni ogni giorno in stazione il padrone senza accettarne la morte, richiamasse l’attenzione di Lasse Hallstrom, regista votato ai soggetti strappalacrime. Trasferisce così la vicenda dal Giappone degli Anni Trenta al New England degli Anni 90 e si munisce dell’accattivante simpatia di Richard Gere e di un cane adorabile, sia da cucciolo giocherellone che da vecchio stanco e mai arreso, per far breccia nel cuore del pubblico, in particolare in chi, amando i cani, amando i cani, non può restare insensibile davanti a questa commovente storia.
Di giapponese Hachiko conserva l’origine (e l’incipit su come il cane di razza akita sia giunto smarrito alla stazione per imbattersi nel padrone a lui destinato conferisce un tocco favolistico) e quindi l’indole, il sentire. E se al vero Hachiko è stata dedicata una statua nella stazione di Shibuya, l’Hachiko del film americano è circondato da amorevoli passanti che popolano la sua nuova casa – la stazione della sua eterna, febbrile e vana attesa di un morto -  e che ne fanno il loro piccolo eroe.
Certo il film è costellato di sapienti espedienti per muovere prima al sorriso e poi al pianto, dalla gioiosa simbiosi tra cane e padrone all’accompagnamento in stazione con la palla proprio il giorno della tragedia, come se fosse stata presagita, dall’addio della figlia ad Hachiko per assecondarne il desiderio (e dobbiamo sorvolare su alcune incongruenze narrative inevitabili per raggiungere l’effetto drammatico) allo scorrere inesorabile delle stagioni. Tuttavia, se razionalmente ne individuiamo la furbizia sotto la tenerezza, emotivamente non possiamo restare indifferenti, e quindi non essere indulgenti, di fronte ad una storia di vera amicizia che ha il potere di scuotere nel profondo e di dare il piacere di abbandonarsi alle lacrime senza reticenza né vergogna.

Voto: 6,5

Gabriella Aguzzi