Shutter Island

05/03/2010

di Martin Scorsese
con: Leonardo Di Caprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Emily Mortimer, Max von Sydow, Jackie Earle Haley, Patricia Clarkson, Elias Koteas

Nel 1954 gli agenti federali Teddy Daniels e Chuck Aule vengono inviati su Shutter Island alla ricerca di una paziente, Rachel Solando, fuggita inspiegabilmente dal manicomio criminale di Ashecliffe che sorge sulla remota isola al largo di Boston. Durante il loro soggiorno una tempesta interromperà i collegamenti con la terraferma e Teddy dovrà combattere i propri demoni e la mancata elaborazione della perdita di sua moglie.


Solitamente si fa risalire l'inizio dell'applicazione sperimentale della terapia di gruppo ai primi del novecento, pratica inizialmente in uso al Massachussets Hospital di Boston e, successivamente con l'applicazione dello Psicodramma all'abreazione dei traumi da guerra si raggiunsero risultati inaspettati nella cura delle psicosi. Lehane imbastisce un'elaborata costruzione di traumi pregressi e successive elaborazioni e Scorsese usa la sua ormai nota abilità nel costruire le atmosfere per rendere al meglio le ossessioni dei suoi protagonisti.
Prima ancora di essere un luogo, Shutter Island è uno spazio all'interno della mente di chi si trova invischiato nella ragnatela tessuta dalle angosce della guerra fredda, che per anni hanno avvelenato il cuore e il cervello di molti americani. Il terrore rosso diviene qui in primo luogo un terrore nero. L'anima nera dell'Europa nazista ha scavato un solco profondissimo nel cuore di chi si è trovato ad aprire il vaso di Pandora dei campi di concentramento. E a partire da questo che il protagonista, un intenso Leonardo Di Caprio, si trova a fare i conti con la follia. Il luogo di scontro è apparentemente un'isola/manicomio/carcere federale da cui fuggire è impossibile. Ma il vero territorio di combattimento è nella mente. La posta in palio è la sanità mentale di chi ne ha viste davvero troppe.
L'unico sentimento possibile è la diffidenza, che presto degenera in vera e propria paranoia. E trovandoci all'interno di un manicomio criminale ci sarà di certo un ottimo motivo per coltivarne quanto basta a rendere vischiosa la percezione e melmoso il lavoro che si è chiamati a compiere.
La melma avvolge il pensiero e le azioni si fanno confuse. E quando lo spettatore avrà la sensazione di aver capito, probabilmente subirà un leggero disorientamento. Nulla al confronto con quello che Teddy scoprirà sull'isola. Nulla davvero se confrontato con quello che alla fine il tutto nasconde.

Scorsese compie un'operazione di accurata chirurgia e rende come in uno psicodramma la rappresentazione della follia che permea le pagine del riuscito romanzo di Dennis Lehane.
Essa prima ancora di abitare a Shutter Island si è senz'altro trasferita là dalla vita vera, in primo luogo dall'esperienza della guerra e la sola vista dei campi di concentramento basta a suggerire il sospetto che solo il ritorno alla follia  possa guarire un animo malato.
L'atmosfera è sicuramente il punto di forza di quello che finisce per essere l'ennesimo lavoro ben fatto dell'ultimo periodo di Scorsese. Un periodo che regala allo spettatore dei bei film certo, ma è da tempo che non produce ormai nessun capolavoro. Di Caprio ce la mette davvero tutta, e i risultati non sono certo disprezzabili. Del resto Scorsese ha alle spalle un'enorme esperienza nel lavoro con gli attori, ma non sempre l'alchimia che ha creato intense collaborazioni in passato si può riprodurre.
Tutti i comprimari offrono con naturalezza una recitazione composta e convincente, con una menzione speciale per l'ambiguo Ben Kingsley, che coniuga con maestria la rigidità data dal ruolo  con l'umanissima pena per i mali dell'anima.
La regia perfetta induce angoscia nello spettatore alla sola vista del faro, mentre i flasback leggermente didascalici sfilacciano a mano a mano la percezione del reale da parte di Teddy, che inconsapevolmente scivola sempre di più all'interno del delirio operato da una mente in fuga dal proprio passato.
E se "perfetto" è l'aggettivo che a più riprese viene in mente a proposito di questo ultimo lavoro del maestro, è pur vero che spesso esso è sinonimo di freddezza. Come a dire che Scorsese rimane un grande regista, ma che col tempo quello che ha guadagnato in perfezione ha purtroppo speso in calore. Ma forse quel che affermiamo potrebbe esser frutto di un momentaneo eccesso di follia. E sarebbe perdonabile comunque, se ad indurlo fosse stata la malsana atmosfera di Shutter Island.

Voto: 7

Anna Maria Pelella

Il tema della violenza, quasi un filo conduttore nella cinematografia di Martin Scorsese, torna  prepotentemente in questa sua incursione nel genere noir, incursione per la quale si affida alla lezione stilistica di Fritz Lang, Alfred Hitchcock, Roman Polanski e Orson Welles. Con gusto impeccabile e rimandi figurativi all'espressionismo, ci racconta una storia di destino, follia, apparenze ingannatrici, con un'abile costruzione “ a scarto” in cui tutte le informazioni che ci vengono date, ci vengono successivamente tolte per depistarci su un'altra direzione, la quale a sua volta viene surclassata da una nuova informazione e così via fino al momento finale di “agnizione”.
Il problema, è che, se non si è dei totali sprovveduti, arriva un certo momento (che può essere a 20 minuti dall'inizio o dalla fine, a seconda della sagacia dello spettatore) in cui si riesce ad afferrare il bandolo della matassa, e da allora il giochino si rompe, diventando ripetitivo. Ma siccome Scorsese è un grande, ecco che riesce a ricatturare l'attenzione con qualche trovata visiva che rimette sull'attenti il pubblico in odor di noia. Fino alla fine. Dove una battuta, l'ultima, si rivela essere il primo tradimento alla lettera, e allo spirito, del libro di Dennis Lehane. Già il sottofinale è fin troppo esplicativo, sottolineato e, nel caso qualcuno fosse particolarmente duro di cervice, ribadito. Ma con un colpo di genio narrativo Lehane riporta la storia, con la scena finale, nel territorio dell'ambiguità. Non così il film di Scorsese: per quanto l'ultima frase sia bella e triste, non lascia spazio al dubbio, in una storia che invece si nutre di dubbio.
Che dire, dunque: ci è piaciuto “Shutter Island”? Sì. E molto. Ma più da un punto di vista intellettuale ed estetico – non c'è una sola inquadratura o particolare che sia fuori posto; e che cast, ragazzi! - che emotivo. In una sequenza de “La finestra sul cortile”, Thelma Ritter chiedeva a James Stewart che difetto potesse trovare nella fidanzata Grace Kelly,  e lui rispondeva “è troppo perfetta”. Ecco. “Shutter Island” è un film che va  visto, rivisto (sapendo la soluzione del mistero, si apprezzano di più i dettagli) e si fa sicuramente, senza alcuna reticenza, ammirare. Ma, per l'appunto “ammirare”, non “amare”

Voto: 7,5

Elena Aguzzi