Alice in Wonderland

05/03/2010

di Tim Burton
con: Johnny Depp, Mia Wasikowska, Helena Bonham-Carter, Anne Hathaway

Si tratta di Alice in wonderland ed è il nuovo film di Tim Burton, che, ispiratosi al primo e anche al  secondo libro di Carroll, “Attraverso lo specchio e cosa Alice vi trovò”,ha voluto realizzare per la prima volta una versione del tutto fedele ai fatti narrati.
Per il detto, squadra che vince non si cambia, nuovamente, davanti all’obbiettivo  Johnny Depp
e la moglie tanto amata  del cineasta, Helena Bonhama-Carter.
Il film parte dalla presentazione di una Alice diciannovenne (Mia Wasikowska), la cui famiglia è tanto desiderosa di accoppiare con un lord fulvo e con annessi problemi di digestione, mentre  il caro e vecchio wonderland è solo un lontano sogno, che la beniamina ha riposto nei meandri di un’immaginazione forse troppo creativa e pazzerella.
Ma il coniglio ricompare, l’attira, le fa segno che le lancette nuovamente scorrono.
E mentre il lord aspetta impaziente sotto il gazebo la risposta alla fatidica domanda, Alice cade tra le radici di una quercia e ripiomba in quella fantasia infantile, tinta di realtà.
Intanto  il wonderland è cambiato: non è più tanto wonder e la dittatura politica ha invaso anche questa dimensione incontaminata. La regina Rossa nevrotica e maniaco-compulsiva (Helena Bonham-Carter)  ha preso il sopravvento sulla sorella new age con voto di non violenza Regina Bianca (Anne Hathaway).
E mentre la prima sferraglia abbattimenti di testa in tutte le direzioni, l’altra compie svolazzamenti alla Carla Fracci solo per spostarsi un capello.
Le paturnie della società contemporanea ci sono tutte, e anche i personaggi chiave del romanzo, dal Stregatto al Brucaliffo.
Accanto alla paladina Alice, la sailor moon destinata  a salvarli, c’è il cappellaio matto, interpretato da un Johnny Depp che mescola tratti alla Jack Sparrow e Willy Wonka nella sua interpretazione.
Forse che il Johnny abbia esaurito l’originalità e faccia indossare un  vestito ormai divenuto  caricaturale  a tutti i suoi personaggi più strambi?
Anche il film, dopo la prima metà, inizia ad annoiare per una trama forse un po’ banale che sfocia, alla fine, quasi nel patetico. Riecheggiamenti al “Signore degli anelli” mentre la personalità di Burton sembra quasi soffocata. Lo stile burtiano traspare nella costruzione dei personaggi, la perfetta Regina Rossa e la sua testa deliziosamente grossa, e degli ambienti circostanti.
Tutto il duello finale tra Alice e il mostro sembra sempre la solita storia trita e ritrita dei filmoni che vanno di moda ora.
Resta comunque l’atmosfera magica e un po’ inquietante di Alice e delle sue avventure nella disperata ricerca di se stessa in mondo alternativo a quello vittoriano, troppo moralizzante per integrarvisi.
Perché, come Alice detta, i pazzi ci sono, ma “sono sempre i migliori”.

Voto: 7

Roberta Costantini

Alice Kingsley è una giovane in età da marito che sta per essere chiesta in moglie da un lord, nella Londra vittoriana. In attesa di trovare una risposta all'imbarazzante richiesta, la giovane volge il proprio sguardo al giardino, attraverso cui intravede un coniglio con un bel panciotto e un orologio da taschino. Alice si incammina in quella direzione e scivola di colpo nel mondo di sogno che sempre popolava tutte le sue notti.
 

Alice di Tim Burton non è più una ragazzina. Adulta sta per essere chiesta in sposa da un lord, ma lei gli preferisce un coniglio. E "inseguendo una libellula in un prato" in realtà un coniglio con un orologio da taschino e un buffo panciotto, sparisce tra le fronde.
Alice non aveva sognato un passato oggetto di letteratura per l'infanzia, ma l'aveva vissuto e poi relegato nella sfera del sogno, per non doverlo abbandonare con la sopravvenuta età adulta.
Ma i sogni, si sa son desideri, e Alice ne realizza qualcuno inseguendo il suo. Scopre il suo ruolo nella società vittoriana e si imbarca felice per altri lidi. Tutto questo solo dopo aver ritrovato il Cappellaio Matto, la Regina Rossa e quella Bianca, conigli, stregatti e tanti vecchi amici forse solo immaginati, di certo sognati e a un certo punto pure incontrati lungo la dura strada verso l'età adulta.

Tim Burton mette mano a Lewis Carroll e non c'è più nulla da fare, la sua Alice cresciuta diventa icona e simbolo di una generazione che aveva dati per perduti i propri sogni e che li ritrova al cinema, nello splendore del 3D.
La consolidata coppia Burton/Depp, cui di recente si è aggiunta un'inquietante Helena Bonham Carter, riesce nell'aggiornamento di una delle più famose metafore del potere della fantasia.
Il trucco ovviamente è nell'amare tutti i suoi personaggi, specialmente i più neri, e con loro sfidare tutte le convenzioni.
Il Cappellaio Matto, fascinoso e ambiguo come solo Depp avrebbe potuto inventare, è un complice del lato più ardito della giovane Alice, apparentemente una sperduta fanciulla vittoriana, ma con l'anima di ferro di chi non ha mai mollato i propri sogni e non vede l'ora di realizzarli.
La Regina Rossa invece ci pare un incredibile schiaffo in faccia alla mancanza di umanità, una raffigurazione perfetta dell'ambiguità cui solo i regnanti, di questi tempi, ancora si attengono. E se sua sorella la Regina Bianca ci pare un pochino svampita, è solo perché non è riuscita mai ad opporsi a lei, e per questo neanche si è mai consentita un'ombra nel suo cammino attraverso il mondo di sogno che si è costruita per sfuggirle. Alice ha un compito, e nello stesso tempo un destino. Sfuggire alla noia di un matrimonio vittoriano è solo il primo gradino di un'ascesa inarrestabile, attraverso un mondo che richiede modi nuovi di pensare i vecchi problemi. E soltanto chi tiene vivo il rapporto con la propria fantasia e i propri sogni ci può riuscire.
Passando attraverso la continua verifica di un'identità perduta e ritorvata, Alice, che ci fa sapere subito di non essere "quella Alice", scopre a mano a mano la sua "moltità" e con quella realizza le profezie e combatte le convenzioni.
Mia Wasikowska è perfetta nella sua "moltità" e anche un tantino vittoriana, mentre Il Cappellaio Matto/Depp istilla nello spettatore un desiderio di follia, pari solo a quello di acchiappare la coda dello Stregatto.
La Regina Rossa, una geniale Helena Bonham Carter, è cattiva e ridondante nella sua solitudine, mentre una perfetta Anne Hathaway/Regina Bianca si profila all'orizzonte con la sua algida bellezza, stucchevolemente amata persino dalla mobilia.
Peccato soltanto che Alice di Tim Burton sia comunque un po' anche un Alice Disney, e pertanto fornita di finale rassicurante. Il tutto si riduce all'appropriazione di un'identità, per poi compiere un passo avanti nell'esplorazione di nuove terre. Come se la scoperta della propria identità non potesse mai essere abbastanza in un mondo in cui tutti devono comunque vivere per sempre "felici e contenti"

Voto: 7

Anna Maria Pelella

Una volta Tullio Kezich definì un regista che non ricordiamo un “fumista di vaglia”. Bene, in questa categoria potrebbe rientrare tranquillamente anche Tim Burton, se non fosse che in svariati casi ha dimostrato di non esserne nemmeno uno dei migliori rappresentanti. Dovendo realizzare una versione del capolavoro di Lewis Carroll adatta ad un pubblico “moderno”, non trova di meglio che adagiarsi su una banale lettura pseudo-femminista del testo, facendo di Alice una sorta di eroina che prende coscienza, fugge da un matrimonio di convenienza ed entra nel commercio. Purtroppo, la banalità dei contenuti e la superficialità sono caratteristiche piuttosto diffuse in gran parte del cinema contemporaneo, e Burton non ne è mai stato esente, anche se molti pensano il contrario. Certo, dovendo presumibilmente già in partenza fare scempio delle avventure narrate dal reverendo Dodgson, non era un compito facile trasformarle in un film più lineare e compatto, e l’idea di Alice che torna nel paese delle meraviglie con un compito ben preciso, scoprendo che non si trattava di un sogno e che il paese non è poi così meraviglioso, va detto, non è malvagia. Il problema è che dopo la prima, promettente mezz’ora, il film si affloscia, e anche dal punto di vista visivo Burton non riesce a inventare granché (l’ha mai fatto?). Difetto abbastanza evidente in tutta una serie di soluzioni piuttosto scontate, dal regno totalmente bianco e luminoso della Regina Bianca agli imperdonabili soldati-carte da gioco fino al mostro con cui combatte Alice, visto cinquanta volte. “Alice in Wonderland” conferma quanto sia sopravvalutato Tim Burton e quanto soprattutto fallisca quando si tratta di rileggere un testo o, se vogliamo, lavorare su commissione (era già successo con “Il pianeta delle scimmie”). Sia ben chiaro, non tutto il film è da buttare. Ha un certo ritmo, la caduta di Alice nel pozzo e il tè dei matti restano nella memoria, il regista dirige bene, come sempre, gli attori (Mia Wasikowska, già ammazza-zombi in un corto horror di Spencer Susser, è una Alice ventenne assolutamente credibile, Hathaway, Depp e Bonham-Carter esagerano con metodo) e alcuni personaggi sono ben delineati. Ma non è con ogni probabilità un caso che il migliore di tutti sia il Gatto del Cheshire, intrigante ma evanescente come l’intero film e come il tanto reclamizzato estro creativo di Tim Burton.

Voto: 6

Roberto Frini