Una ferrari che gira a lungo in tondo, nel deserto. È la sequenza iniziale del film e l'immagine simbolo della vita di Johnny Marco, il protagonista. Attore famoso che vive in stanze d'albergo, cambiando una donna a notte, vivendo una vita dove anche le chitarre che suoni sono false, che il destino (un braccio rotto cadendo ubriaco dalle scale, la partenza per non si sa quanto della moglie divorziata) ricongiunge per qualche giorno alla figlia undicenne – una bambina da sogno, docile e brillante, va detto.
La solitudine si riempie, anche se con un certo disagio. Un breve viaggio a Milano per ritirare un premio tv instaura tra loro un silenzioso senso di complicità. Al ritorno la ragazzina andrà al campeggio come programmato, lui si ritroverà più umano.
Essenziale e delicato, il bellissimo film della Coppola si snoda con più musiche e rumori di sfondo che parole attraverso la solitudine e l'amore. Lost in translation famigliare, coi ritmi e i toni di un Jarmush (“Broken flowers” su tutti, anche per la scoperta della paternità), piccoli accenni umoristici, cinepresa quasi fissa, malinconia soffusa. Solo un paio di parole di troppo, quando telefona all'ex moglie e dice “sono un fallito”: unico momento didascalico di una pellicola pressoché perfetta e senza retorica, giocata sugli sguardi, gli accenni, un minimalismo tanto profondo quanto impalpabile. Dovendo indicare una scena particolarmente amata, condividiamo la scelta di Sofia: quella sui bordi della piscina. Sembra quasi di sentire l'odore del cloro...
Perfetta la scelta dei volti di contorno (e di quelli italioti), l'adesione di Stephen Dorff al personaggio (c'è stato un momento durante la conferenza stampa veneziana che sembrava il prolungamento della scena dell'incontro stampa che si vede nel film - “Anche lei possiede una ferrari?” “No”) e soprattutto splendida Elle Fanning. Famiglia di talenti, la sua: e anche questo è un parallelo col non troppo celato autobiografismo della Coppola.
Voto: 8
Elena Aguzzi