“Perché la seguivate?”
“Perché era bellissima, e reale.”
Nel pieno della terrificante pestilenza medievale, passata alla storia come “la Morte Nera”, uno zelante inquisitore (Sean Bean) raccoglie informazioni sulle aree più colpite dal flagello e scopre l’esistenza di un villaggio che sembra rimasto immune all’epidemia. Poiché da sempre è vero il detto “mal comune mezzo gaudio”, ed escludendo la possibilità di un fenomeno isolato nonché fortunato, il militare, su invito del Vescovo, organizza una spedizione per raggiungere il luogo in sicurezza, catturare il negromante alla radice di una così innaturale resistenza alla malattia, e la cui presenza viene fin da subito data per certa, e trarlo in prigione dove, sotto tortura, fargli ammettere la sua connivenza col demonio. Alla bene armata compagnia si aggiunge un giovanissimo frate, esperto in sentieri boschivi, tormentato dall’amore carnale che vive con una donna fuori dal monastero e abbastanza lontano dallo spirito giustizialista della Santa Inquisizione. Giunti sul posto, nel mezzo di una palude, i cinque uomini vengono accolti quasi con indifferenza e invitati a sostare nel villaggio per rifocillarsi. Sfortunatamente, sia per gli inquisitori che per i presunti cultisti, guidati da una donna carismatica ed esperta in erboristeria (Carice Van Hauten), dietro il fanatismo del comandante, l’ipocrita bontà del frate, futura “belva” al servizio della Chiesa, e l’illusione di libertà dei contadini rimasti lontani dagli orrori del flagello, si cela un male anche peggiore della peste, e che risiede nel cuore di ogni uomo, che sia al servizio del “giusto” o di una propria morale.
Il film, più che discreto, diretto con imparziale laicità da Cristopher Smith, indaga la ferocia dell’uomo e condanna la violenza legata a qualsivoglia ideologia, senza mai cadere in banalità o facili moralismi, mantenendosi ad un livello neutrale in un’epoca descritta a tinte fosche e pervasa tanto da superstizioni quanto dal desiderio che l’Assoluto si renda, almeno in parte, tangibile ed interpretabile. Se non si può fare a meno di ammirare la strenua resistenza del Capitano Inquisitore (Sean Bean, da Boromir in poi, ha deciso che recitare, per lui, significa recitare sempre così, ma fosse l’unico…), che porta a compimento un disegno sorprendentemente malvagio persino per quei tempi, non è facile condannare la regina di un regno minuscolo ma felice, la cui unica richiesta era solo di essere lasciato in pace. Era di caccia alle streghe spesso a tiro zero nel mucchio, ossessione religiosa e, potremmo anche aggiungere, desiderio di verità ed emancipazione, con l’unico, annoso problema che tutti e sempre vivono nella convinzione di essere nel giusto. Un horror di denuncia, potremmo definire questo film, in cui chiunque ha le sue ragioni superiori da perseguire, tranne il più puro dei protagonisti, ovvero il giovane frate, che non a caso diverrà poi un vero e proprio strumento di morte e vendetta. Un voto importante ci sentiamo in dovere di assegnare al lavoro di Smith, anche per averci regalato, nel finale, uno dei migliori scambi di battute all’interno del genere.
Black Death
Gran Bretagna, Germania
Lingue: Italiano, Inglese
96 minuti
Voto: 7
Carlo Baroni