A classic horror story

19/07/2021

di Roberto De Feo, Paolo Strippoli
con: Matilda Anna Ingrid Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Will Merrick, Yuliia Sobol, Alida Baldari Calabria 

“ Gli italiani non sanno fare film horror”
Anche voi avrete sentito dire questa assurdità almeno un centinaio di volte. Se solitamente si tratta di un qualunquismo degno dei migliori bar di quartiere, stavolta coinvolge inspiegabilmente la critica cinematografica.
Sappiamo tutti che siamo un popolo generalmente criticone, che si stima poco se non quando di mezzo ci si mette la Nazionale o qualche competizione verso i nemici storici inglesi-francesi. 
Ma stavolta la gravità delle dichiarazioni è causata proprio da chi elargisce pareri troppo spesso soggettivi e quantomeno faziosi.
E' moltissimo tempo, riprendendo l'insulsa affermazione di inizio articolo, che circola la convinzione che il cinema horror italiano sia indegno di competere sia con i fratelli e cugini europei, né tanto meno con le pellicole di stampo anglo-americano. Questa follia comunicativa e storica perpetra una pessima cultura di fine '900 che vide una carrellata di prodotti di ogni genere (e quindi pure cinematografici) scaraventati con la forza di mille soli dall'ex colonia inglese verso i nostri lidi.
La fine del '900 fu anche la crisi profonda del cinema di genere italiano e quindi questa nuova e portentosa offerta produttiva nelle sale ha creato una visione generale discostante dalla realtà.
Il cinema italiano di genere, pure quello Horror, tra gli anni '60 e '80 ha insegnato al mondo come si gira e come si costruisce l'orrore, con pellicole monumentali talune arrivate come un uragano al di là dell'oceano (Argento è una celebrità negli States, e Cannibal Holocaust ha sconvolto il mondo intero). Quindi si potrebbe giustamente affermare che essendo tra i padri fondatori del genere noi altri si sia giustamente nell'Olimpo di questo fantastico genere che è l'Orrorifico.
Noi che abbiamo donato alcuni tra i più grandi registi, scenografi, costumisti, make up artist e attori che hanno rivoluzionato il genere, ormai ci siamo convinti di non essere più capaci di girare nulla.
Questo perché siamo stati imbottiti di cinepanettoni e dalle solite 4 commedie di Virzì, che seppure siano film degni di visibilità oramai riempiono unicamente le nostre sale cinematografiche.
Quindi ad un certo punto come “causa e effetto” sono le stesse Major a non aver interesse nel produrre ottime idee, che però non vendono. Perché sappiamo che il dio denaro comanda il mondo.

Ma arriviamo a questo A classic horror story. Che è ne più ne meno una brillante rivisitazione del cinema di genere, omaggiato con ogni singola inquadratura, infiocchettato di una sceneggiatura semplice ma efficace.
La storia narra del viaggio di una comitiva di sconosciuti, che per ragioni differenti si trovano su un autocaravan anni '60 diretti nei territori non meglio specificati della Calabria selvaggia.
Già dalle prime scene c'è un profondo studio del genere. Una costruzione semplice, lineare ma assolutamente corretta di come si inizia una storia horror.
Ovviamente quello che per alcuni minuti sembra essere un viaggio piacevole e tranquillo si trasforma nel classico “weekend di paura”, utilizzando i soliti cliché della comunità rurale preda di antiche e  violente tradizioni pagane capeggiata da creature terrificanti infarcendo il terrore col far sentire braccati e  in pericolo i protagonisti e le sevizie e le morti di quasi ognuno di loro a turno, con modalità cruente a mano a mano che la storia prosegue.

Fino a che, la vera protagonista della storia, colei che per sceneggiatura sarà la superstite facendo sua parte della vena violenta della comunità, si ribella alla macchinazione del proprietario dell'autocaravan. Che in un lungo ma non troppo spiegone ci mostra la macchinazione diabolica che si cela dietro il film stesso.
Un film horror in un film horror creato da questo depravato gruppo di calabresi, da distribuire su una piattaforma molto simile a Netflix. Qui la vena portentosa di metacinema prende il sopravvento e si palesa come soggetto predominante.

E' con due o tre frecciatine lanciate non tra i denti dei protagonisti, che si spiega il filo conduttore di tutta la pellicola. Una sincera e funzionante critica agli spettatori e allo showbizz cinematografico. Una critica tanto incisiva che risulta evidente che la critica stessa, incapace di leggere tra le righe, si è ritrovata puntualmente a demolire il film.
Capite?
Sublimazione.
Catartico.

Io direi una cosa, però. Mettiamo che non vi freghi nulla di questi messaggi subliminali e abbiate voglia semplicemente di horror.
Io direi che è l'occasione giusta per recuperare un gran bel film, un ventata di aria fresca e, si spera, una nuova giovinezza dell'Horror nostrano (con la H maiuscola).

Voto: 8

Ivan Grossi