L’omaggio della Cineteca di Bologna a Jonathan Nossiter

11/09/2023

Il suo ultimo, desertico e post-apocalittico film Last Words presentato a Cannes - davvero il suo commiato al cinema? - è uscito lo scorso giugno nelle sale italiane. Nossiter è stato ospite alla retrospettiva a lui dedicata dal Cinema Ritrovato (24 giugno - 2 luglio), per l’anteprima italiana del film. A Bologna, al cinema Lumière, lo abbiamo incontrato.

Come ti trovi a Bologna e cosa pensi del Festival Il cinema ritrovato? 

Nossiter, cineasta, scrittore e sommelier: “Apprezzo che Gian Luca Farinelli e la squadra della Cineteca abbiano pensato che agricoltura e cultura siano due fratelli e abbiano proposto il mio Mondovino. La presenza di vignaioli a questo Festival è ottima, in questo che è il miglior festival perché non è devoluto all’industria ma alla cinefilia e alle produzioni. Ieri sera ho presentato il mio film Sunday con Matt Dillon, giunto a sorpresa. Amo questo festival”. 

I tuoi film riprendono un certo cinema di Cassavetes. Iniziamo ad esempio proprio da Sunday del 1997

“Sunday è  un film pieno di freschezza e imprevedibile umanità”. 

Poi nel 2000 hai girato Signs and Wonders, un film che ci fa delle rivelazioni, ci mostra dei misteri nella complessità delle relazioni e dove la parola diventa libertà.

“È un film personale con un’intelaiatura drammaturgica”. 

A distanza di tempo come vedi questo tuo film?

“È vent'anni che non lo rivedo. Chi ha fatto questo film? È strano non riconoscerlo. Abbiamo fatto il tentativo di mettere tutto dentro ed ha prodotto un’esperienza diversa. A volte si dipinge un piccolo olio, a volte un grande affresco. È un film ambizioso, da grande schermo perché il movimento della camera segue i gesti, meglio i movimenti della macchina acquistano la qualità di un grande gesto. Chi ha ucciso il protagonista? Non chiedetemelo!”.

Come hai scelto il cast?

“In questo film ci sono quattro bravi attori. C’è Charlotte Rampling (da Nossiter diretta anche in Last Words, ndr) che non compariva al cinema da un po’ ma il produttore disse che era pronta per tornare. Io avevo fatto un casting ma non amo fare provini, preferisco conoscere le persone bevendo un caffè. O andare a pranzo ma gli attori non sempre bevono vino. È il primo di tre film fatti con Charlotte. Per questo ruolo ha imparato un po’ il greco. Dimitris Katalifos è un attore di teatro in Grecia. Mi interessava che riproducesse un certo istinto animale. Parlava molto male l’inglese. Poi c’è Stellan John Skarsgård (anche lui in Last Words, ndr) uno dei più grandi attori e tra i più gentili. Cerchiamo di esprimere libertà e di non rovinare tutto con questa organizzazione maniacale, ponendo attenzione tra una preparazione eccessiva e il rispetto per la sala. Ne è uscita una costruzione troppo pulita, con il desiderio di libertà degli attori e la mia di inventare. Poi c’è Deborah Kara Unger che aveva recitato in Crash di David Cronenberg. Venne scritturata in The Game di Fincher perché vista in Crash. Persona simpatica ma non la persona più facile...”.

In quanti tempo hai girato? 

“Ho impiegato molto tempo per preparare il film e ho ritardato le riprese per la preparazione. È stato lungo anche il sound editing, con rischio di mandare in bancarotta il produttore”.

Parlaci della sceneggiatura.

“La sceneggiatura è di James Lasdun. un poeta inglese che vive in America, alla seconda nostra collaborazione. Bertolucci ha tratto la sceneggiatura dell’Assedio da un suo racconto. È poi diventato un amico. La struttura è alla Hitchcock con compattezza della storia. La mia sceneggiatura prevedeva dialoghi a due per risaltare cosa una persona dice e cosa vuole far credere”. 

Michela Manente