“Lanthimos è un regista che ha la capacità di creare un mondo e noi ci siamo entrati. La storia è molto forte e lui ti prepara a farne parte ma non ti dà indicazioni di regia. Mi piace avere a che fare con un regista che ha una visione chiara e te la spiega e poi spetta a te farla tua. Non deve essere qualcosa che capisco subito, ma verso la quale mi muovo e cerco di trasformare e darle vita. E’ proprio il percorso di far emergere una vita che non è la tua che mi affascina nel mestiere di attore. Lanthimos è un uomo riservato, parla poco, ti dirige stuzzicandoti, prendendoti in giro. Lui crea un mondo e tu devi abitarlo. Ed Emma è fantastica, ormai è la sua musa, ha un grande talento e non ha atteggiamenti da diva”
Così Willem Dafoe parla della sua esperienza in Povere Creature! il film di Yorgos Lanthimos con Emma Stone protagonista, in corsa per gli Oscar e da oggi sugli schermi italiani. Un film indubbiamente fascinoso ma a parer nostro anche irritante nel suo voler essere originale ad ogni costo. Le inquadrature distorte, le scenografie e i costumi che creano un mix fantastico e allucinato di antico e moderno sono al contempo e il pregio e il difetto del film, perennemente in bilico tra tragico e grottesco, che racconta (con eccessiva prolissità) l’apprendimento della vita e del mondo di una “creatura”, frutto di un esperimento scientifico, che tutto sperimenta con avidità (e soprattutto appetito sessuale) fino a conquistare coscienza. Nel film Dafoe interpreta il “novello Frankenstein”, segnato a sua volta da brutali esperimenti, un mostro che crea un altro mostro.
“Ovviamente la storia prende in prestito da Frankenstein ma tra i due personaggi c’è una grandissima differenza. Il mostro creato da Frankenstein gli suscita repulsione, il mio personaggio invece quasi si innamora della sua creatura, le dà una seconda chance e la dà anche a se stesso, perché crede nella scienza e vuole dare a questa donna una seconda vita, quindi vede il suo gesto come qualcosa di positivo, generoso, entusiasmante”.
Per interpretare il personaggio, mostro nel corpo e nella sua cieca follia scientifica, Dafoe si sottoponeva ogni giorno a pesanti ore di trucco. “Il trucco è uno strumento fantastico perché dà la possibilità di lavorare con una maschera. Vedi nello specchio qualcosa che svanisce ed emerge qualcun altro. E’ il nucleo del fare finta. E’ confortevole? No. Ma è meraviglioso”.
Nel ruolo di medico, poi, si è sentito perfettamente a proprio agio. “Sono cresciuto tra strumenti medici. Spesso accompagnavo mio padre, praticamente facevo il portiere nella sua clinica, sono stato in mezzo alla malattia negli anni della mia crescita e quindi questo film non mi ha fatto paura, è stato quasi un ritorno in famiglia”.
Dafoe, come noi, ama il Cinema visto in sala “Ma non per la grandezza dello schermo – specifica – ma per l’iniziativa di uscire, di voler condividere la visione con dei perfetti estranei. E’ una cosa bellissima”.
Reduce dalla cerimonia di Los Angeles, dove gli è stata posta una stella sulla Walk of Fame, e tornato nella “sua” Roma ci racconta quell’emozionante esperienza “E’ stata una cerimonia bellissima, si sono presentati amici e registi con cui ho lavorato e mi sono sentito davvero parte di una comunità. Avere una stella è qualcosa che viene riconosciuta universalmente ed è difficile accettare l’idea che mi sopravviverà”.