
94 minuti di grande attualità, dai tragici fatti di Cutro, ai temi sociologici ripresi dai Comizi d’amore di Pasolini, andando indietro ai moti del ‘70 e del ’71 di Reggio Calabria. Semidei è soprattutto un film dotato di una grande potenza narrativa estetica ed artistica, che celebra i Bronzi a trecentosessanta gradi come pochi hanno saputo fare. Fabio Mollo e Alessandra Cataleta hanno riunito storie di divinità antiche e attuali, di diversità, di ritrovamenti e immigrazione per capire meglio il mondo dei Bronzi dal 1972 - l’anno del ritrovamento - ai giorni nostri, con filmati d'epoca, news e altre voci del mondo contemporaneo. Fabio Mollo (Il sud è niente, Il padre d’Italia, Anni da cane) ha presenziato al Lido alla rassegna “Notti Veneziane” insieme ad Alessandra Cataleta (La vita che mi diedi. Storia e gesta di Anna Cuticchio, pupara) per presentare il film. Semidei è stato presentato in prima mondiale alle Giornate degli Autori all’80° Festival del Cinema di Venezia, prodotto da Palomar con il sostegno di Calabria Film Commission, prodotto da Carlo degli Esposti e Nicola Serra, in occasione delle celebrazioni dedicate al 50° anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Con: Carlotta Ndoye, Damiano Bevilacqua , Anzhela Brailo, Stefano Mariottini, Daniele Castrizio, Nuccio Schepis, Koichi Hada, Vinzenz Brinkmann, Adele Cambria, Michele Albanese, Antonio Alí.
Alessandra, come sei entrata nel progetto?
«Sono “atterrata” sul progetto un anno fa quando Fabio era impegnato in altro. Lo stadio di scrittura era già avanzato. Abbiamo Iniziato le riprese e io andavo sottoponendo a Fabio Mollo le ricerche e la modalità di racconto. Esiste una forte intesa tra di noi».
Fabio, cosa vuol dire raccontare i Bronzi?
«Sono di Reggio Calabria. I Bronzi sono nel mio DNA. Ho visto i Bronzi prima di vedere un film (ero piccolo, avevo due o tre anni). I Bronzi sono i personaggi di un film, sono protocinema. L’esigenza di noi filmmaker e di raccontare una storia anche se c'è una guerra. I Bronzi hanno una storia dentro la storia...».
Nel tuo film c’è una Calabria post Bronzi e una Calabria prima... due piani temporali. Come ti sei mosso tra questi piani?
«Il racconto fa parte della nostra cultura. I moti di Reggio Calabria hanno segnato la città e le generazioni creando un forte senso di orgoglio. Era necessario liberarsi di un sistema che non andava. Mia mamma era una che lanciava gli oggetti oltre le barricate. Ricorda i feriti di quei mese. Adele Gambria, eroina (giornalista intervistata nel film, ndr) ha vissuto i moti e li ha raccontati. Io la ho voluta ricordare».
Nella tua opera hai inserito l’aspetto del giallo. Chi ha scoperti i Bronzi?
«L’intento del film è all'opposto, è dire che dobbiamo andare oltre. Nel momento in cui facevo il documentario ho trovato nelle persone un po' di difficoltà a parlarne. Li ha trovati in fondo al mare Stefano Mariottini o li hanno scoperti i quattro ragazzi di Riace? L’importante è che siano stati trovati. In quegli anni molte opere sono state trafugate. Grazie alla denuncia fatta fanno parte del patrimonio umano».
Alessandra, come hai svolto le ricerche per il film?
«Ho maturato in passato molti progetti di ricerca. Per Semidei volevo inserirmi nel contesto e poi sparire. Ritengo molto importante il racconto delle persone nel film. Chi guarda i Bronzi si avvicina al sacro, a questi semidei».
Nel film c'è anche la voce di Damiano Bevilacqua, un personaggio e testimone nel film...
«Damiano (il ragazzo rom intervistato, ndr) ha dato l'interpretazione più giusta dei Bronzi: erano due uomini caduti in acqua, che sono diventati di bronzo. Ci ha aperto un occhio in più. Guardare i Bronzi con chi li studia ma anche chi li vede senza una sovrastruttura e va puro, come anche Carlotta (Carlotta Ndoye, una ragazza nel film, ndr). Quello sguardo puro è di chi entra nella stanza dei Bronzi. Ho voluto aprire con l’immagine di repertorio del 1981 con l’apertura del museo di Reggio. Con Damiano abbiamo capito i Bronzi».