La Milano di Gaber e Jannacci

11/09/2023

20 anni fa ci lasciava Giorgio Gaber, dieci anni dopo Enzo Jannacci. Due grandi cantanti, poeti, interpreti. Due grandi amici tra loro, che han cominciato insieme e non hanno mai perso il contatto umano e professionale nel corso degli anni di carriera. Due grandi milanesi. Mentre, nel corso di questo 2023, le celebrazioni e i ricordi continuano a succedersi (l’ultimo, in ordine di tempo, il bel documentario di Giorgio Verdelli “Enzo Jannacci - Vengo anch’io”), noi vogliamo rievocare questo loro aspetto.

La milanesità dei “due corsari” (questo il nome del loro primo duo) si sviluppa nei cabaret e sale della città, e si avvale di alcuni preziosi legami professionali. Per Gaber è lo scrittore Umberto Simonetta (con la collaborazione, più avanti, con Sandro Luporini, amplia gli orizzonti artistico-espressivi, ma anche urbani), per Jannacci sono tantissime collaborazioni, intinte di fraterna amicizia: innanzitutto con Dario Fo, Cochi e Renato (compagni di viaggi e zingarate, oltre che di scena) e Beppe Viola; ma anche con Adriano Celentano, Felice Andreasi, Teo Teocoli, Paolo Rossi, Gino e Michele…. Le canzoni (spesso già recital in miniatura) sono poetiche, talvolta amare, sentimentali o di denuncia; spesso sono divertentissime; di quando in quando semi autobiografiche (“El me indiriss”). Gaber usa un lessico milanese, ma non il dialetto. Jannacci, “figlioccio” di Fiorenzo Carpi e del “Milanin Milanon”, scrive spesso in dialetto, regalandoci alcune delle più belle canzoni milanesi dell’ultimo secolo.

Ma quale Milano ci cantano? È quella popolare degli anni 50-60, quella nebbiosa (quando la scighera era bianca e spessa) che ancora soltanto annusava il progresso delle prime “topolino” e lambrette e non ascoltava il rock and roll. I protagonisti erano operai, ladruncoli, vecchietti, baldracche, barboni, innamorati. Abitavano a Porta Romana, Rogoredo, l’ Ortica, il Giambellino. Li trovavi nei trani ( dove “si passa la sera scolando barbera”), nelle balere ( “Per un basin mi saria partii soldato, saria andaa a Como in moto poi saria turnaa a ca' a pe'), nei cinemini (“forse fatti apposta, due film in una volta 100 lire, noi ci andavamo insieme ad ogni festa, seduti in fondo là senza guardare”), ma anche nelle case a ringhiera, davanti alle fabbriche o ai commissariati. Loro li cantavano con umorismo che però non era mai irrisione ma partecipazione, e talvolta sfociava invece in tragedia (“m’han ciamaa…”). Una Milano che sopravvisse, almeno nel ricordo, fino agli anni 70, con Vecchioni e Fortis, ma sparita poi, travolta dagli anni 80: trai paninari e la Milano da bere era difficile trovare ancora i “rocchetté” o i poveracci con “le scarp del tennis”. Le canzoni, però sono rimaste, e le ricorrenze, per quanto tristi, ci devono lasciare la voglia di riascoltarle.

Elena Aguzzi