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Automata di Gabe Ibáņez

15/12/2021

“Automata” è asciutto, spigoloso e disperato. Non è l’ennesima distopia, ma racconta un mondo in cui l’umanità si trascina stancamente, trincerata nelle ultime grandi città, difese da alti muraglioni e rassegnata a vite senza destino, senza speranza, dove la normalità è fingere che tutto sia normale.
Ambientato nel 2044 (cioè tra circa vent’anni…) descrive una Terra desolata e arida, massicciamente desertificata dagli esperimenti nucleari e dalle bizze radioattive del Sole, in cui si sopravvive nelle metropoli senza futuro, abbandonata la speranza di poter risanare il pianeta con l’utilizzo esteso dei robot Pilgrim 7000, che si sono rivelati insufficienti all’impresa e perciò sono diventati oggetto di disprezzo e frustrazione.
“Automata” rovescia però gli stilemi e il punto di vista di Blade Runner, cui pure si richiama molto, tanto nell’ambientazione urbana (comprese le pubblicità olografiche, vagamente porno, a grandezza di grattacielo) quanto nel ruolo del protagonista: Jack Vaucan (Antonio Banderas) è un perito assicurativo, lavora per la ROC, Robotics Corporation, ed è incaricato di sistemare le faccende sporche, soprattutto le richieste di indennizzo per i presunti danni causati dai Pilgrim. I robot infatti sono, o dovrebbero essere, inibiti dai due Protocolli, a tutela degli esseri umani: il Primo impedisce loro di nuocere a qualsiasi forma di vita, il Secondo  impedisce loro qualunque propria modifica o riparazione.
Quando però cominciano ad esserci segnali che il Secondo Protocollo, dichiaratamente inviolabile (infatti è stato crittografata dalla mente superiore di un Pilgrim sperimentale, poi soppresso), Jack Vaucan si trova coinvolto nell’indagine sulle origini della mutazione, il cosiddetto “Orologiaio”, un umano che potrebbe aver trovato (e attuato) il modo per liberare i Pilgrim dal Secondo Protocollo.
In cambio della promessa di un trasferimento sulla Costa, dove forse c’è ancora l’Oceano, per sé, sua moglie Rachael e la figlia in arrivo, Jack si destreggia tra autopsie cibernetiche e poliziotti corrotti e drogati, tra le paranoie del management della ROC e le angosce per il futuro della sua famiglia, finendo letteralmente trascinato nella fuga di un gruppo di robot ribelli, che cercano libertà e autodeterminazione oltre il deserto radioattivo che circonda la città.
Tanto Blade Runner era buio, notturno e piovoso, quanto “Automata” è invece grigio, diurno e arido; la faraonica e gotica Tyrrell Corporation è diventata la anonima e burocratica Robotics Corporation; Rick Deckard era un lupo solitario mentre Jack Vaucan tiene famiglia; i Replicanti sono perfettamente antropomorfi mentre i Pilgrim sono macchine lente, goffe e fanno anche tenerezza.
Ma lo scopo è lo stesso, espellere le anomalie robotiche dal sistema, neutralizzare le mutazioni, sopprimere la ribellione. E simile è anche il percorso dei due protagonisti, entrambi finiranno per prendere le parti degli androidi, empatizzando con loro e ciò facendo diventando a propria volta dei ribelli.
Il film merita onesta attenzione: non è arricchito dagli effetti visivi del suo epigono, che nel pur lontano 1982 già brillava in originalità e ambientazione, non disdegna di cavalcare qualche cliché (come quella sorta di duello al sole nel finale), e non rinuncia ad un lieto fine (ma questo anche Blade Runner: anzi, visivamente le due scene si assomigliano).
Eppure riesce ugualmente a creare una sua atmosfera, dunque a rendersi credibile quel tanto che basta da passare il suo messaggio: testimoni del tramonto della razza umana, innalzati al rango di senzienti da una inspiegabile mutazione, i robot si preparano a raccoglierne l’eredità, tramandandone il senso.
Non c’è quindi né lotta né sopraffazione, né tantomeno un intento ri-educativo o di tutoraggio, da parte dei Pilgrim: semplicemente consapevoli che adesso è il loro turno, si allontanano dai loro creatori per costruire un proprio destino.
Una sceneggiatura accurata anche se non spettacolare, un’interpretazione di Banderas veramente notevole e una regia misurata e in sintonia con la storia, rendono “Automata” se non avvincente, a suo modo seducente: difficile sottrarsi alla curiosità e alla riflessione che ne nasce.
N.B. “Automata” è disponibile (non so ancora per quanto) su Amazon Prime

Davide Benedetto