Dune, da Herbert a Villeneuve

01/11/2021

Immaginate un pianeta senza pioggia e senza acqua, un deserto senza fine a circondare e imprigionare le poche enclave urbane. Immaginate pure un popolo del deserto, fiero e combattivo e al tempo stesso capace di visione, di sogno e poesia. E poi immaginate una Galassia di cui questo pianeta, questo deserto e questo popolo – pur oppressi e sfruttati allo stremo - sono inconsapevoli ma irresistibili centri di attrazione: ecco, adesso avete Dune, siete su Dune. Manca solo una cosa: un leader. E questa è la storia del suo arrivo.
Premio Nebula e Hugo, vale a dire i Nobel della letteratura fantascientifica, Dune di Frank Herbert (1965) è stato e rimane molte cose, prima di essere un film (questo film, in particolare): una saga strutturata (sei solo i romanzi originali), un unicum letterario, un serbatoio di immaginario fantascientifico cui hanno attinto in tanti epigoni (da Star Wars in poi), un gigantesco esperimento letterario e di stile.
La storia è ambientata sul pianeta omonimo, sullo sfondo di una Galassia feudale, in cui le grandi Case (organizzate nel Landsraad) cercano di equilibrare il potere dell’Imperatore e dove prosperano gli intrighi e i giochi di potere, coinvolgendo anche la Gilda (unici a saper pilotare le astronavi) e le Bene Gesserit, la millenaria confraternita femminile che tesse trame e decide destini.
L’esodo forzato della casata Atreides, dal nativo pianeta Caladan sul desertico Arrakis (Dune), dove l’acqua è ragione di vita e di morte, concepito dall’Imperatore come premessa per eliminare un antagonista, il Duca Leto (Atreides) dalla crescente e pericolosa popolarità, innescherà invece un’onda d’urto che letteralmente rovescerà lo schema di potere millenario e stravolgerà equilibri e piani di tutte le forze in campo.
Il tutto condito da un grandioso piano segreto di ‘reingegnerizzazione’ del pianeta, dalla narrazione (rigorosa, coerente) di un ecosistema planetario fenomenale, da una cultura indigena totalmente centrata sull’onore e sul rispetto per l’acqua, in modo sorprendente.
Fin qui il romanzo (ovviamente c’è molto molto di più già solo nel primo tomo, nelle 500+ pagine della prima edizione italiana, per i tipi della Editrice Nord).

Il film di Denis Villeneuve, per contro, sceglie un tono ed una coloritura molto diversi, dal romanzo (cui peraltro rimane puntigliosamente fedele, ma forse più letteralmente che sostanzialmente).
Pittorico e atemporale: cioè ricco di inquadrature e scene di grande valore estetico, compositivo e coloristico. E anche, indifferente (più che privo) ad una precisa linea narrativa, cronologica. Non esattamente un film d’azione, questo (primo?) Dune: evocativo, questo sì. Allusivo, anche: alla lotta per il bene, alla capacità di scoprire, secondare e usare le forze insospettate del pianeta (e dei suoi Fremen), e quindi allusivo anche ad un inevitabile (e auspicabile) seguito, “il” film dove finalmente vedremo azione, lotta, giustizia, trionfo.
Qui no. Qui abbiamo solo gli antefatti, raccontati come detto in maniera molto visiva, quadri più che inquadrature, effetti speciali finalmente grandiosi e una dimensione epica, esistenziale che traspare e vorrebbe permeare il racconto. Ma la narrazione rimane discontinua, gli episodi restano episodi e, per chi non ha letto (e riletto, e riletto…) il/i romanzo/i (Frank Herbert, 1965), appaiono slegati, faticosamente riconnessi dall’attenzione dello spettatore.
Se per scelte di montaggio o di doppiaggio non si sa, ma il risultato è una vicenda frammentaria, in cui le diverse linee narrative (Arrakis – gli Atreides; Arrakis – i Fremen; gli Harkonnen), che dovrebbero alimentarsi l’un l’altra, restano tracce separate, dalle connessioni quasi frettolose. Cercando invece fin da subito, maldestramente, una dimensione eroica, epica, si dimentica che in realtà Dune non è un racconto propriamente epico, ma anzi, molto molto concreto, che ha al centro una popolazione, quella dei Fremen (veri protagonisti: ma lo si vedrà poi), la cui missione è non banalmente la propria sopravvivenza, e il cui sogno è ricondurre all’abitabilità il pianeta Arrakis. Niente di più concreto, quindi.
Vedere questo Dune (va detto, da lettori compulsivi del romanzo) ci ha comunque colpito: ma forse più la corda della nostalgia, o corde estetiche, che non sul piano strettamente narrativo, coinvolgente.

La Recensione del Film

Davide Benedetto