Gabriele D’Annunzio ha composto innumerevoli opere, da vero bulimico della scrittura. Romanzi, opere teatrali, poesie, sceneggiature, lettere… Ma il suo capolavoro è il Vittoriale degli Italiani. Già, perché la tenuta sul lago di Garda non è un semplice “buen retiro”, ma è un’ulteriore opera d’arte, una sorta di romanzo autobiografico illustrato non con disegni ma con muri, arredi, soprammobili e tutto ciò che gli stava a cuore e lo “raccontava”. Cuore dell’ampio parco affacciato sul lago, adorno di ville, giardini, canili, cimiteri, tempietti, fontane, un anfiteatro e persino della prora di una nave, è l’abitazione, la “Prioria” : una costruzione comunicante, ora adibita a museo, edificata con contributi statali, venne completata solo dopo la sua morte, ed egli vi dimorò giusto il tempo dell’allestimento della camera mortuaria. Ma nella Prioria egli visse gli ultimi anni con la moglie e i cani, e questa villa (visitabile su prenotazione in piccoli gruppi guidati, per potersi aggirare con non troppo incomodo attraverso i corridoi e gli spazi talvolta angusti, carichi di milioni di oggetti) è il suo lascito a tutti noi. Un monumento al proprio mito vivente, un’esasperata opera narcisistica, ma anche una “liturgia” attraverso i suoi sentimenti e dolori. Già dall’ingresso è come entrare in un tempio: la scala è carica di simboli e motti e una colonna divide il percorso dei giusti (le persone a lui care, le donne) e degli ingiusti (i politici, i questuanti, gli opportunisti, gli adulatori). Quindi ecco biforcarsi una serie di corridoi, stanze e suites, tutte opacizzate dalle finestre oscurate, che D’Annunzio ha perso l’uso di un occhio, e l’altro è rimasto offeso e fotosensibile. La sala d’attesa (con uno specchio beffardo), la sala da musica, una delle biblioteche (contiene 6000 dei 30 mila volumi che ricoprono le pareti di tutta la casa: pur avendo problemi alla vista, D’Annunzio è avido lettore quanto indefesso scrittore), i bagni, le camere da letto, da pranzo, di lettura e lo studiolo, con annessa farmacia, alla cui scrivania il Vate lascerà questo mondo: gli occhiali sono ancora lì sul ripiano. E poi la parte più privata: la stanza in cui ricevere gli amici più intimi (e che sarà la sua prima camera mortuaria, prima di venire esposto ai saluti pubblici nell’ala nuova), con un letto che per metà pare una culla e per metà una bara; lo studio arroccato a nido d’aquila, con una porta bassa di ingresso, così da inchinarsi all’arte quando si entra, e dove compone la maggior parte dei suoi lavori. I soffitti di ogni ambiente recano motti in latino, le pareti, come dicevamo, sono ricoperte di libri e di quadri (ritratti di Dante Alighieri, soprattutto), i pavimenti ricoperti di mobili degli stili più disparati (in particolare, il poeta è attratto dalle cineserie, a cui ha dedicato una stanza, ma i richiami all’oriente si trovano ovunque) e ognuno di questi comodini, armadi, consolle, tavoli, tavolini, scrivanie, ripiani è a sua volta pieno zeppo di oggetti di collezione, di famiglia, di gusto e di ritratti, con le figure dominanti su tutte della madre e del grande amore Eleonora Duse (un suo busto è coperto da un velo perché il guardarla in volto lo emoziona troppo). L’aspetto sicuramente più insolito che questa casa ci racconta non è però quello dell’accumulatore compulsivo alla Dorian Gray, ma quello mistico-religioso. Non c’è differenza per D’Annunzio tra l’adorare Dio, Budda o se stesso, ma i quadri di martiri, le croci, le vie crucis, le bibbie ci raccontano un uomo concentrato, negli ultimi tempi, su un desiderio di infinito e attratto dal Mistero.
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