Gli Angeli Perduti di Wong Kar-wai
08/06/2021

“….tutto scade, chissà se anche i ricordi hanno una scadenza”
Gli abbandoni e le coincidenze perdute ricorrono nella cinematografia del regista hongkonghese dai film iniziali, quasi dei gangster movies, a quelli intimisti della seconda fase, creando una galleria di personaggi strani e perdenti, chiusi nelle loro manie, tutti irrimediabilmente, desolatamente soli. Se anche si accinge a narrare una storia comune, Wong Kar-Wai resta unico per il tocco di stile: personaggi quasi imprigionati dalla cinepresa che incombe loro addosso e alla quale narrano, con voce fuori campo, le loro angosce incomprese, che rincorrono le loro abitudini assurde irrompendo inaspettati nella poesia, che si sfiorano, s’incrociano, si riconoscono, si perdono; luci filtrate e inquadrature sghembe su una Hong Kong appena intravista e appena riconoscibile, fatta di interni squallidi; tempi lunghi e dilatati alternati ad accelerazioni improvvise, colonne sonore languide che portano nell’Estremo Oriente la voce di tanghi argentini.
Ed è in Argentina che si consuma la fine di una storia d’amore omosessuale in “Happy Together”. “Chissà perché la gente sola finisce con l’assomigliarsi” si dice a metà della storia, avvenuta l’ultima frattura insanabile tra i due e a questo punto il film cambia direzione ed entra in scena un terzo personaggio per iniziare una storia d’amicizia che si conclude con un protagonista in visita al faro più a sud del mondo e l’altro al ritorno verso una Hong Kong caleidoscopica. Altra abitudine di Wong Kar-Wai quella di perdere alcuni personaggi per incontrarne di nuovi, ma come spesso accade per i registi dell’Est bisogna ricostruire la loro cinematografia a ritroso.

La Tucker Film riporta sul grande schermo “Happy Together”, assieme alle prime opere del regista, “As tears go by” e “Days of being wild”, “Angeli Perduti” e “Hong Kong Express” e al suo capolavoro “In the mood for Love”. In “Hong Kong Express” e “Angeli perduti”, precedenti “Happy together” di tre anni, si ritrova la stessa incomunicabilità, con una minore struttura narrativa, per tracciare personaggi appena abbozzati, come incontrati casualmente. Alcuni di loro fanno i killer e vivono la loro criminalità come una routine che li isola da altri rapporti umani, altri sono gente comune che spia nella spazzatura dell’amato per conoscerne l’anima, che compra scatolette con una scadenza che segna l’anniversario di una fine, che sente il bisogno di consolare gli oggetti intristiti, che ama, infine, chi insegue un altro amore svanito. I due film possono quasi essere considerati uno la continuazione dell’altro per ambientazione (siamo nello stesso quartiere, Chung King, costellato di piccole drogherie) e originalità di caratteri (non fanno mai nulla di banale i personaggi di Wong Kar-Wai, vanno perfino a vedere una partita della Sampdoria!). In mezzo a ciò omicidi e brusche sparatorie come di tradizione nel cinema orientale, ma la novità di Wong Kar-Wai sta nel coniugare l’estetica da videoclip ad un lirismo struggente. Così accade nel suo primo lungometraggio, “As tears go by”, con protagonisti un piccolo gangster e un amico pazzo, che richiama immediatamente alla memoria “Mean Streets” di Scorsese.

Infine Wong Kar-Wai riaggancia le sue malinconie, rinuncia ad originalità eccessive, narrative e stilistiche, e compone il suo film più compiuto, la summa della sua poetica sugli amori sbagliati. “In the mood for love” è la storia di un amore dimesso, mai compiuto, lasciato andare come le volute di fumo nella stanza, come la pioggia che batte triste e insistente sullo stesso angolo di strada. Wong Kar-Wai inquadra dettagli, si sofferma sulle scale, le scarpe, una lampada, non mette mai a fuoco i coniugi traditori. Sono proprio i dettagli a far comprendere ai due coniugi traditi la loro condizione e a condurli in un gioco di finzione per comprendere le ragioni dell’abbandono. Ma s’immedesimano nei ruoli e s’innamorano, un amore nascosto come un errore agli occhi estranei e indiscreti dei coinquilini invadenti. Nel tracciare l’elenco dei nostri film del cuore mi sono accorta come “In the mood for love” possa essere considerato un remake orientale di “Breve incontro”, per la fugacità e gli intrusi che impediscono il compimento di un sogno. Il lieto fine che chiudeva “Hong Kong Express”, aggiustando un po’ ottimisticamente gli equivoci, è dimenticato. Qui l’occasione rimane mancata, il sogno soffocato nelle mura di un appartamento angusto, e non resta che rinchiudere il segreto nella feritura di un albero, anni dopo, in Cambogia.
Gabriella Aguzzi