Pittura e letteratura in Pasolini

16/05/2008

Tra i numerosi interessi di questo artista multiforme c’è anche la pittura. Pittore egli stesso, Pasolini ha segnato le immagini dei suoi film con espliciti riferimenti pittorici, in particolare ispirandosi alle immagini sacre. Se in “Accattone” la sacralità è maggiormente contenuta nella musica (di Bach: una scelta geniale che all’epoca fu duramente contestata), in “Mamma Roma” i rimandi ai quadri si sprecano: dal banchetto che riproduce ambiente e posizioni a tavola dell’ultima cena dipinta dal Ghirlandaio, all’immagine finale del ragazzo morente, che riprende fedelmente il “Cristo morto” del Mantegna (uno dei quadri più amati dalla cinematografia). Del resto, il protagonista del film assomiglia in modo impressionante al “Ragazzo con la frutta” di Caravaggio, al quale Pasolini spesso si ispira nella scelta dei volti. Un altro film in cui i richiami pittorici sono addirittura sfacciati è “La ricotta”, attraversato da “deposizioni” cinquecentesche, quali un Rosso Fiorentino imitato nei più minuti dettagli e il Pontormo che vediamo qui accanto nel rifacimento pasoliniano. Anche “Il Vangelo secondo Matteo” è, ovviamente, ricco di particolari pittorici, come la via crucis che “rifà”, in movimento, diversi dettagli de “La storia della croce” di Piero della Francesca. E nell’ultimo episodio del “Decameron” il regista stesso assume i panni di un allievo di Giotto (e il suo aspetto fisico rimanda a un dipinto di Velázquez...), il quale, di fronte al suo “Giudizio Universale”, sogna di animare a “tableau vivant” l’affascinante immagine del paradiso e l’inquietante visione dell’inferno.

Non solo Pasolini è stato un artista poliedrico nella scelta dei “materiali” artistici coi quali esprimersi, ma anche nell’ambito della scrittura ha scelto forme espressive assai differenti le une dalle altre. Gli interventi “corsari” apparsi sul Corriere della Sera, il teatro, la poesia, la narrativa, vengono tutti a comporre un puzzle al cui centro vi è la sua controversa personalità artistica, umana e politica. In particolare, Pasolini è stato grande nell’ambito della poesia, con la quale è artisticamente nato, e in quello della narrativa. Nulla di più distante, a prima vista: malinconico, suggestivo, semplice, musicale quando scrive in poesia, in particolare nelle sue prime liriche “furlane”. Liriche che egli stesso si traduce in calce, e che richiamano la semplicità e il sottile erotismo di Sandro Penna, e il cui stile non si perde nemmeno quando, successivamente, darà loro un più preciso impianto ideologico: anche “Le ceneri di Gramsci” mantiene la diretta musicalità e lo “struggimento” de “La meglio gioventù”. Viceversa i suoi romanzi “Ragazzi di vita”, “Una vita violenta” si distinguono per la loro violenza verbale e il crudo verismo degli ambienti e del linguaggio (fu un altro scandalo: l’uso del dialetto non solo nei dialoghi, ma per l’intera narrazione, era una cosa che non si era mai vista, e a peggiorare le cose c’era l’evidente empatia tra il narratore e il mondo degradato delle borgate romane che andava raccontando). Eppure le poesie in friulano e i romanzi in romanesco non sono così lontani. Vi è in entrambi l’uso quotidiano e popolare della lingua, vi è l’amore per un mondo quasi animalesco, vi è il tentativo del colto autore di immedesimarsi con la vitalità gioiosa (anche quando drammatica) dei ragazzi che ammira e descrive. Di più: nel gergo rozzo dei borgatari si insinuano sprazzi descrittivi liricheggianti che rimandano ai primi tentativi narrativi del nostro: “Il sogno di una cosa”, “Amado mio”, “Atti impuri” (questi ultimi due titoli rimasti incompiuti e pubblicati postumi, anche se diversi brani che li compongono erano già apparsi sulle pagine di alcuni giornali). Romanzi, guarda caso, ambientati a Casarsa.

Elena Aguzzi