Tetra summa delle tragedie shakespeariane, “La caduta degli dei” è da sempre considerato fra i più straordinari capolavori del maestro Luchino Visconti, tra quei pochi registi onorati dal merito di non aver mai tradito la propria grandezza con opere minori, poiché anche le pellicole meno osannate dalla critica e dal pubblico (si veda e si apprezzi “Le notti bianche”) recano comunque la sua inconfondibile impronta e il taglio estetizzante che non smise di caratterizzare il suo stile persino quando si misurò con la corrente neorealista ( e se si paragona “Ossessione” a “Ladri di biciclette” di De Sica sfavilleranno al primo sguardo i contrasti che porranno fine all’utopistica volontà di portare la vita vera, quella della strada e dei piccoli sentimenti, nel mondo di celluloide).
Spesso si considera “La caduta” come l’opera più fruibile di Visconti, ed in effetti la relativamente breve durata della pellicola (due ore) e l’avvicendarsi entusiasmante degli avvenimenti, con non molte concessioni ai virtuosismi, colpiscono anche lo spettatore meno abituato allo stile viscontiano e più incline ai tempi anti-leoniani delle produzioni moderne. Cast straordinario: Dirk Bogarde, Ingrid Thulin, Helmut Berger, Florinda Bolkan, Charlotte Rampling. Nella Germania del 1934, alla morte del nobile capostipite di una grande famiglia, proprietaria delle maggiori acciaierie del Paese, una lotta fratricida sconvolge il delicato equilibrio dei parenti, intenzionati ad assicurarsi il controllo dell’azienda. Nel conflitto, si inserisce l’elemento politico. Alcuni membri del casato parteggiano per i gruppi nazionalistici delle SA, altri per l’esercito o le SS. Il gioco dei destini sembra raggiungere l’apice del pathos nella notte definita dalla Storia come quella “dei lunghi coltelli”, durante la quale Hitler decise di schierarsi dalla parte dell’esercito e delle SS ordinando il massacro incondizionato delle SA di Roehm. Tuttavia, è la vicenda privata ad avere maggiore risalto. Martin, erede della maggioranza delle azioni, è nelle madri della madre, la Baronessa Von Essenbeck, innamorata di Friedrich Bruckmann, uno dei dirigenti e, con un abile colpo di mano, la notte stessa che fu teatro dell’uccisione del vecchio barone per mano di Friedrich, la bella e inconsolabile vedova dell’unico figlio del defunto, servendosi di Martin, riesce a sottrarre la presidenza al rozzo e volgare Konstantin, destinandola al suo “protetto” Bruckmann.
Visconti allenta la tensione narrativa nella seconda parte, quando i giochi sembrano essere ormai stabiliti, e si dedica alle introspezioni drammatiche predilette. Memorabile l’arrivo delle SS al quartier generale delle SA, alle prime ore di un lugubre mattino di sangue. Straordinario Dirk Bogarde (Friedrich), figura tormentata, dubbiosa e afflitta dal rimorso, immagine tangibile di una decadenza tanto cara a Visconti ed eco sensibilissima, operando forse una traslazione ingiustificata, della figura di Macbeth (del resto, il ritorno di Herbert Tallmann, accusato ingiustamente dell’omicidio del Barone, durante una cena indetta dal neo-presidente, non può non ricordare il lugubre fantasma di Banquo). Insuperabile anche Helmut Berger, nel ruolo di Martin, disgustoso fantoccio privo di coraggio ma vera enciclopedia ambulante di perversioni sessuali, con decisi problemi edipici irrisolti.
Un’epopea indimenticabile che raccomandiamo agli amanti del genere e non, poiché al di là di alcuni “capricci manieristici” del regista, il film è lo straordinario affresco di un’epoca e la lucida e malinconica cronaca di un declino.